giovedì 8 ottobre 2015

Repubblica 8.10.15
Larrain: “Un film sui preti peccatori puniti dalla Chiesa”
di Arianna Finos


BERLINO CRESCIUTO a pane e classici italiani, il 39enne cileno Pablo Larrain è autore dallo stile asciutto e disturbante. La Festa di Roma gli dedica, dal 16 ottobre, una restrospettiva: il primo dei suoi cinque film, Fuga , è inedito in Italia, l’ultimo, El Club , è il candidato per il Cile agli Oscar, esce a novembre. Figlio di due politici conservatori Larrain ha raccontato ascesa e declino di Pinochet con la trilogia Tony Manero, Post Mortem e No-I giorni dell’arcobaleno .
Con El Club , Orso d’argento alla Berlinale, sposta l’obiettivo sui preti pedofili in un racconto cupo toccato da lampi di umorismo. La quotidianità di quattro preti e una suora “peccatori”, esiliati in una triste località di mare (mangiano, bevono, pregano, allevano un cane per far soldi alle corse) viene interrotta dall’arrivo della vittima di uno di loro. Un sacerdote compie un gesto estremo e le indagini sono affidate a un gesuita che scopre la verità sui religiosi fatti “sparire” dalla Chiesa.
Larrain, lei è cresciuto in un collegio cattolico.
«Sì, ho avuto preti insegnanti. Alcuni erano brave persone, altri delinquenti, altri scomparsi. Dove sono finiti? È da qui che inizia la mia storia. Ricordo lo scandalo di padre Cox, la foto che lo ritraeva in una casa tra il verde e le mucche, come una pubblicità del latte. Ho cercato quella casa, iniziato a indagare. Non era facile ma poi un ex prete mi ha svelato delle tante case, dei mille preti coinvolti, il funzionamento della struttura».
Non si tratta solo di pedofili.
«No, riguarda anche chi ha perso la fede o si è innamorato. E malati di mente, il cinquanta per cento. Perché la Chiesa ha trovato questa soluzione al problema? Credo sia per la paranoia rispetto ai media. In Vaticano c’è più paura di finire sui giornali che di andare all’inferno».
Nel film i preti invece che di crimine e pena parlano di peccato e perdono.
«La stortura di base è pensare che vadano giudicati in tribunali diversi e non come comuni cittadini. I religiosi che vivono in queste case sono sottratti alla giustizia umana e messi in una condizione sospesa che non permette loro di redimersi davvero perché non ammettono la colpa».
Sono preti ambigui, come il finale del film.
«Il gesuita, per trovare una soluzione politica e mantenere il segreto, è costretto a mettere insieme vittime e carnefici in un circolo agghiacciante. All’inizio del film c’è una citazione dalla Genesi : “E Dio vide che la luce era buona, e separò la luce dalle tenebre”. Io invece penso che non sia possibile».
Qual è per lei la cosa più importante in un
film?
«La struttura, la trama. Ma soprattutto conta il tono. Qui ho usato vecchie lenti russe che usava Tarkowski per ottenere un’atmosfera unica. Un tempo la tecnica faceva la differenza, dal colore capivi se un film era russo o italiano. Oggi le macchine sono le stesse, da giurato a Venezia sono rimasto scioccato: vedevo film tutti uguali».
Come pensa che reagirà la Chiesa al film?
«Non so, ma spero che non lo veda mia madre. I miei sono cattolici, non sono felici che abbia fatto questo film. Ma mi hanno sempre lasciato scegliere. Mi hanno concesso quella libertà che la Chiesa non mi ha mai dato».