giovedì 8 ottobre 2015

Repubblica 8.10.15
Il dovere di lasciare
di Sebastiano Messina


NON basta, non può bastare, il gesto teatrale di restituire tutti i 20 mila euro spesi da Ignazio Marino per pagare le sue cene “di rappresentanza”. Non basta, non può bastare, annunciare di aver chiesto alla Ragioneria «di calcolare questa notte stessa al centesimo le spese pagate con la carta di credito» in modo che stamattina lui possa «staccare un assegno per l’intera cifra».
LA DICHIARAZIONE con cui ieri il sindaco di Roma ha creduto di chiudere la vicenda delle sue spese di rappresentanza dice troppo e nello stesso tempo troppo poco. Troppo, perché dopo aver minacciato querele contro chi dava vita a “una campagna offensiva” e “priva di fondamento”, Marino ammette implicitamente un’irregolarità, restituendo con un assegno personale quei 20 mila euro alle casse comunali. Ma contemporaneamente troppo poco, perché non risponde alle domande che gli sono state poste da chi è andato a verificare una per una quelle spese pagate con i soldi dei contribuenti.
Il pasticcio delle note spese è venuto a galla dopo che il sindaco aveva difeso il suo viaggio negli Stati Uniti sostenendo che la sua trasferta non era costata un euro ai romani. Allora i grillini hanno chiesto che venissero rese pubbliche tutte le sue spese di rappresentanza. Erano animati da un sospetto preciso, ricordando la storia dei rimborsi spese contestati al sindaco-chirurgo dall’Università di Pittsburg, uno sgradevolissimo contenzioso per conti d’albergo che finì in mano agli avvocati e si concluse con le dimissioni di Marino dallo staff del Medical Center. Così il Comune ha dovuto mettere online le ricevute fiscali e le note giustificative firmate una per una dal sindaco. È risultato che in due anni Marino ha speso 44.735 euro (di cui 20 mila solo per pranzi e cene). Non è una cifra iperbolica: fanno 60 euro al giorno. E i suoi collaboratori hanno subito tenuto a sottolineare un risparmio di 11 mila euro rispetto al suo predecessore, Gianni Alemanno.
Poi però sono scoppiate le grane. E la madre di tutte le grane, la grana che sta rendendo incandescente il terreno sotto i piedi del sindaco, abita in piazza Margana, sotto l’insegna La taverna degli amici. È qui, che la sera del 27 luglio 2013 Marino avrebbe “offerto una cena per motivi istituzionali ad un rappresentante del World Health Organization”, come lui stesso ha dichiarato nella nota spese. Ma l’oste, intervistato da Repubblica , lo ha smentito: «Quella sera il sindaco ha cenato con sua moglie». Con la moglie, non con un ospite straniero.
Non è, purtroppo per lui, l’unico episodio sotto accusa. C’è la cena del 23 ottobre 2013 — “offerta per motivi istituzionali ad alcuni rappresentanti della Comunità di Sant’Egidio” al ristorante Sapore di mare. «A quella cena non è stato invitato né ha partecipato alcun responsabile di Sant’Egidio», ha però messo nero su bianco la Comunità.
C’è poi la cena del 26 dicembre 2013, un conto per sei persone all’Antico Girarrosto Toscano, dove il sindaco spiegava di aver invitato “alcuni rappresentanti della stampa”. Peccato che il titolare del locale, davanti alle telecamere nascoste del Tg4, abbia dato un’altra versione: «È venuto qui a mangiare con i familiari. Punto e basta. Io però smentisco tutto, eh».
C’è ancora una cena torinese, al ristorante Tre Galli, dove il 4 maggio scorso Marino avrebbe offerto una cena a don Damiano Modena, autore del libro “Carlo Maria Martini: il silenzio della parola”. Interpellato dal Corriere, ieri il religioso ha confermato di aver partecipato con il sindaco alla presentazione del volume ad Alessandria, ma ha negato di essere andato a cena con lui a Torino: «Io sono rimasto ad Alessandria».
E c’è infine una cena del 6 settembre 2013, sempre all’Antico Girarrosto Toscano, alla quale il primo cittadino ha dichiarato di aver invitato l’ambasciatore vietnamita in Italia. Ma il diplomatico — lo ha assicurato ieri a Radio Capital la sua assistente, Dang Thi Phuong — dopo l’incontro in Campidoglio tornò all’ambasciata e non cenò affatto con il sindaco.
Cinque cene, cinque testimonianze che contraddicono il sindaco, cinque conti che non tornano. Quei cinque conti, che in queste ore vengono sbandierati come prove schiaccianti dagli avversari di Marino, e che certamente finiranno nelle carte dell’inchiesta aperta dalla Procura di Roma, pongono un unico, grande interrogativo, al quale non ci si può sottrarre con un risarcimento-lampo: davvero il sindaco ha mentito, nelle sue note spese? Davvero ha portato al ristorante moglie e parenti, invece degli ospiti della città? Oppure i testimoni di oggi ricordano male, confondono date e persone, e Marino — che è un uomo d’onore — è in grado di dimostrarlo? Il sindaco della Capitale non può avere sulla sua testa un sospetto così imbarazzante. E Marino — la cui solitudine politica è sottolineata in queste ore dall’eloquente, gelido silenzio del Partito democratico — sa perfettamente che se non riesce a dare subito risposte convincenti a queste domande, non può più rimanere sulla poltrona di sindaco di Roma.