mercoledì 7 ottobre 2015

Repubblica 7.10.15
Il rimedio cinese
Accademia dei Nobel si inchina a Youyou e a una scienza di tradizione millenaria nel suo Paese. Ma il riconoscimento non segna una rivoluzione nella medicina globale. La scopritrice dell’Artemisina non riesce più a sedurre nemmeno i suoi connazionali. Mai come oggi infatti Pechino è in fuga dalle vecchie cure: i prezzi delle 200 sostanze più diffuse sono in caduta libera con pesanti ripercussioni sull’export. E anche i luminari di questo sapere sono ormai privati dell’antico prestigio sociale. Ecco perché
di Giampaolo Visetti


Nei primi otto mesi dell’anno in ogni ospedale ci sono state 35 aggressioni armate. Milioni di malati si convertono alle sostanze chimiche dell’industria occidentale

YOUYOU Tu è il primo Nobel cinese per la medicina, la prima donna della Cina a ottenere il più prestigioso premio mondiale. Lo ha vinto nel terzo millennio, grazie a una scoperta che affonda le radici 1600 anni fa, nella sapienza degli erboristi asiatici che l’industria della salute occidentale ci ha fatto dimenticare. È come se tra poche ore il Nobel per la Letteratura venisse assegnato ad un frate amanuense, scovato per caso in un monastero risparmiato dal web e dalle concentrazioni editoriali. Anche la malattia a cui Youyou Tu ha dedicato la sua vita di studiosa, la malaria, mantiene l’esoticità coloniale di un sapore antico. La maga delle erbe che per decenni ha battuto i villaggi rurali, trascrivendo a mano le ricette della medicina cinese tramandate oralmente dagli anziani, è così ascesa all’istante ad anti-simbolo globale di una scienza umana consegnata alla speculazione finanziaria, alla corruzione politica e al dominio delle analisi hi-tech. Nel 2015 Youyou Tu ha vinto il Nobel per la medicina con una scoperta del 1972, alla fine di un secolo fa, studiando i poteri alchemici dell’ Artemisia annua e lottando contro le zanzare, oggi decimate da insetticidi e concimi chimici. La Cina e il resto del mondo, improvvisamente, sono riusciti a riconoscere l’evidenza: un’anonima ricercatrice cinese, osteggiata dalle guardie rosse di Mao Zedong ed emarginata dai successori post-rivoluzionari, ha silenziosamente contribuito a salvare milioni di persone da una malattia non ancora vinta, i poveri dimenticati nell’altro mondo ancora ignorato dall’anelito alla longevità. La simultaneità del web e la propaganda di Pechino, che mai ha promosso Youyou Tu nell’Accademia delle Scienze, hanno subito stabilito che il Karolinska Institut di Stoccolma ha voluto indicare la medicina tradizionale cinese, con i suoi medici e con i suoi ricercatori, come laboratorio per ridefinire una più sostenibile scienza mondiale del futuro. L’enfasi retorica ha finto di ignorare che l’erboristeria e gli estratti animali, cardine storico dei rimedi naturali, nulla possono contro le malattie acute e contro la nuova generazione dei farmaci chimici. Rappresentano semmai un modo di vivere in armonia con le altre forme di vita, in cui la prevenzione aiuta a sostenere l’urto ineludibile dell’invecchiamento. Solo Youyou Tu, prostrata dal diabete e sulla soglia degli 85 anni, ha tentato invano di riportare tutti dentro la misura della realtà. «Il Nobel — ha detto — non mi ha fatto un’impressione particolare e non mi ha sorpreso troppo. È un onore reso a tutti gli scienziati cinesi, un regalo alla medicina tradizionale dell’Oriente e alla popolazione del pianeta: ma non deve frenare la curiosità e la creatività dei ricercatori, fermare le conquiste della tecnologia, rallentare le lancette del progresso ». Fino a due giorni fa la Cina era comunemente associata alla repressione del dissenso politico, alla crescita trentennale della sua economia e alla prima crisi del suo modello industriale, ai marchi contraffatti, all’inquinamento e alla corsa al riarmo nel Pacifico. Mai Pechino era finita nei radar dell’innovazione, della scienza e della medicina, e la comunità internazionale si è chiesta subito se il Nobel di Youyou Tu sia il segnale che la fame del Dragone voglia ora saziarsi fagocitando anche la modernizzazione clinica.
Si inaugura “il secolo del medico cinese”, votato alla riscoperta dell’erboristeria e al tramonto di chimica e chirurgia robotica? La risposta, per ora, sembra restare no. La vecchia scopritrice dell’Artemisina, capace di sconfiggere il Plasmodium Falciparum resistente al chinino, ha conquistato l’Occidente, ma nonostante il subitaneo orgoglio nazionalista continua a non sedurre la stessa Cina. Il suo successo nasce dentro un piano militare segreto, voluto da Mao non per amore della ricerca, ma per risparmiare i soldati che alla fine degli anni Sessanta combattevano contro gli Usa nel Sudest asiatico. La missione affidata a Youyou Tu non era salvare i poveri dalla malaria, ma contribuire alla vittoria del comunismo sul capitalismo ed è proprio tale vizio politico del passato a spiegare il paradosso scientifico del presente: mai come oggi la Cina è scossa dalla fuga di massa dalla medicina tradizionale e mai come oggi il medico cinese è vittima della violenza collettiva e privato di ogni residuo prestigio sociale. L’Occidente subisce il fascino dell’erboristeria imperiale, mentre i cinesi consumano l’ultimo strappo dalle proprie tradizioni. A rivelarlo sono le antenne infallibili del mercato: nel 2015 i prezzi dei rimedi naturali sono crollati, trascinando nel baratro anche le esportazioni. La domanda interna segna meno 15%, l’export meno10,2%, dopo il meno 12% del 2014. Un anno fa il ginseng, gloria popolare, valeva 145 dollari al chilo: ora fatica a trovare clienti disposti a pagarlo 20. In picchiata anche le quotazioni di essenze himalayane, funghi, corna di cervo, bile di orso, grasso di tigre, cocomeri di mare, bacche e fiori selvatici. La maga delle pozioni Youyou Tu vince il Nobel per la medicina, ma la farmacia cinese si svuota: tra i 200 rimedi naturali più diffusi, 11 hanno dimezzato prezzo e vendite, 183 sono calati del 10% e solo 6 sono rimasti stabili. Centinaia di milioni di malati cinesi si convertono ai farmaci chimici dell’industria occidentale, sostenuti dalla pubblicità, e alimentano il turismo della salute che ingrassa i commercianti di Hong Kong, Seul, Tokyo, Taiwan, ma pure le multinazionali di Europa e Usa. Il mercato delle erbe, che solo in Cina nel 2013 valeva 12 miliardi di euro, entro dicembre minaccia di scendere sotto i 5. È l’effetto di una super-potenza, nei fatti, sempre più occidentalizzata: la gente non vuole convivere con le malattie, ma guarire subito, non si accontenta di invecchiare, ma sogna l’eternità, non accetta la sofferenza, ma pretende di abolire il dolore, non può fermarsi se il fisico lo suggerisce, ma deve continuare a lavorare per continuare a consumare. E alla grande fuga dalla medicina tradizionale corrisponde l’escalation dell’odio collettivo verso i medici. Nei primi otto mesi dell’anno, denuncia l’Accademia delle scienze di Pechino, in ogni ospedale del Paese ci sono state in media 35 aggressioni armate. Centinaia le vittime, mentre il 40% dei medici ospedalieri cinesi dichiara di voler abbandonare la professione per evitare le vendette dei pazienti insoddisfatti. Il salario mensile di un primario è di 370 euro al mese, inferiore a quello di un operaio, i medici sono ad un passo da uno sciopero generale senza precedenti e invitano i giovani a disertare le facoltà di medicina. È l’altra faccia del primo Nobel cinese per la medicina: migliaia di città e di villaggi senza ospedale, reparti privi di farmaci e di macchine per le diagnosi, medici in rotta costretti a 200 visite al giorno, pazienti in rivolta, reparti presidiati dall’esercito, puerpere in fuga all’estero, rimedi tradizionali considerati truffe da stregoni prigionieri della suggestione. Solo Youyou Tu, con la modestia e la tenacia della scienziata sola che vive per capire, supera oggi la crisi d’identità dell’Occidente che si rifugia in Oriente e dell’Est che si consegna all’Ovest. «Il nostro compito — ha detto — è semplicemente lottare per la salute di tutti gli esseri umani». Ha fatto più attenzione ad un’erba chiamata Artemisia, conosciuta da tutti. Anche nella medicina è l’attenzione, non l’erboristeria, non la chimica, a fare la differenza: l’hanno scoperta, nel terzo millennio, ma l’hanno scoperta.