martedì 27 ottobre 2015

Repubblica 7.10.15
Ma alla fine tutti noi saremo meno liberi
di Maurizio Ferraris


GLI UFFICI governativi lavoreranno più rapidamente e con minor burocrazia. Non fa una buona impressione quando un ufficio chiude in orario dopo otto ore. Il popolo non sta lì per gli uffici, sono gli uffici che sono lì per il popolo. Si deve lavorare finché il lavoro non è finito». Chi l’ha detto? Il teorico di una burocrazia 2.0? Non esattamente: è Joseph Goebbels quando nel 1943 incita i tedeschi alla guerra totale e, a suo modo, propone un modello post- fordista di servizi on demand e lavori a progetto, che finiscono, appunto, solo quando il progetto è completato in ogni sua parte.
Sembrava che il fordismo comportasse una immane alienazione del tempo, ed era così. Essendo cresciuto nella Torino degli anni Sessanta e Settanta, ricordo la tristezza degli operai, la nebbia, il sonno, e (presumo) la noia infinita di giornate tutte uguali. Oggi quegli operai non si vedono più, e i grandi affollamenti si registrano non sugli autobus che portavano me a scuola e loro in fabbrica, ma il sabato a ore antelucane negli aeroporti da cui partono voli low cost per Sharm el Sheik, Lourdes o Berlino. Il tempo di questi nuovi mobilitati, dalla vacanza invece che dal lavoro, è meno alienato di quello dei loro antenati? In apparenza sì, basti dire che stanno andando in vacanza invece che al lavoro.
Ma se mentre sono a Sharm el Sheik esplode una magagna legata al progetto che stavano svolgendo, possono trovarsi a passare ore e ore in albergo imprecando contro la connessione wifi che fa le bizze, mentre coniugi e figli li guardano costernati, o li abbandonano al loro destino. Ciò che non sarebbe mai accaduto ai loro antenati, a cui mai sarebbe stato richiesto di sospendere la gita fuori porta per finire un lavoro al tornio. I tempi moderni hanno abolito la malinconia della sera del dì di festa, ma lo hanno fatto al prezzo di una mobilitazione totale: in qualunque momento e in qualunque luogo possiamo essere sottoposti a una richiesta, secondo un meccanismo che è stato perfettamente analizzato nel libro del filosofo ticinese Fabio Merlini Ubicumque appena uscito da Quodlibet.
Ovviamente, su questo tema è fatale dividersi in apocalittici o integrati, sebbene sia difficile dirsi davvero nostalgici dell’alienazione fordista. Proporrei però un’altra riflessione che, mi sembra, non è al centro del dibattito. L’alienato post- fordista, chi lavora a progetto e può andare in vacanza quando vuole (tranne poi essere richiamato al fronte quando meno se lo aspetta) è un alienato? Perché certo non è contento di dover stare sempre a controllare sul telefonino se non ci sono delle chiamate alle armi, ma, al tempo stesso, nulla nella sua vita ricorda quello che si classicamente si chiama “alienazione”, cioè la parcellizzazione e la ripetitività, l’estraniazione rispetto al frutto del proprio lavoro.
Anzi, il mobilitato web sembra il prototipo dell’uomo intero ed emancipato disegnato da Marx, l’uomo che (leggiamo nella Ideologia tedesca) può fare “oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare”. Si noti inoltre che il lavoratore a progetto è per l’appunto incaricato di portare a termine una totalità di cui è responsabile, dunque è l’opposto di Charlie Chaplin che avvita sempre lo stesso bullone. Se mentre è in birreria a Berlino o in preghiera a Lourdes può certo essere raggiunto da una incombenza molesta che gli funesterà il week end (o magari la settimana premiale alla fine del progetto), ma dopotutto quello che gli viene richiesto è pur sempre un impegno verso la totalità: la mail che deve scrivere, la telefonata che gli tocca, hanno un senso organico all’interno del progetto in cui si era impegnato. Dunque, mutatis mutandis, il mobilitato di Sharm, di Lourdes o di Berlino non è diverso da un poeta raggiunto da una ispirazione nel cuore della notte.
Mutatis mutandis, e proprio qui è il problema. Ciò che la nuova mobilitazione ci rende evidente, e che non era affatto chiaro ai critici otto-novecenteschi dell’alienazione, è che non basta il dominio formale sul proprio tempo e sull’oggetto del proprio lavoro per creare immediatamente la felicità. Anzi, può accadere il contrario: proprio questa grande disponibilità, che formalmente è il contrario della alienazione, si può trasformare in una guerra totale in cui non è consentito il tirarsi indietro, il “preferirei di no” di Bartleby lo scrivano o del buon soldato Schwejk.