Repubblica 4.10.15
Jeffery Deaver.
L’autore de “Il collezionista di ossa”: “I limiti servono, ma la maggioranza è contraria”
“Qui è più facile avere un fucile che curare le malattie mentali”
intervista di Anna Lombardi
«In America è più facile procurarsi un’arma che curare una malattia mentale». Jeffery Deaver è l’ex avvocato diventato con i suoi romanzi (
Il collezionista di ossa, Nero a Manhattan, Hard News )
uno degli autori americani più celebri e venduti del mondo. Assassini e psicopatici sono spesso protagonisti dei suoi thriller: eppure, dice «alla cattiveria umana non ci si abitua mai».
Obama dice che l’America è ormai intorpidita davanti a fatti del genere: lei che ne pensa?
«Spero di no, spero che la gente continui a indignarsi e il dibattito sulle armi prosegua. Ma sono molto scettico. E le misure a cui pensa il Presidente troppo drastiche. Non passeranno mai. Ci sono cose più semplici e ragionevoli da mettere in atto».
Ci faccia un esempio.
«In America è più facile procurarsi un’arma che curare chi ha problemi di paranoia o schizofrenia. Invece bisognerebbe indagare prima di permettere a qualcuno di acquistare oggetti così pericolosi. Certi stati lo fanno, hai bisogno di una dichiarazione del medico. Ma non basta. Per comprare una pistola si dovrebbero fare le stesse indagini che si fanno quando si fa un prestito. Chiedere referenze a vicini e parenti. Indagare sui social, analizzare i profili Facebook di queste persone. Non risolverebbe il problema ma alzerebbe la barra d’accesso alle armi».
Lo dice lei stesso: non basterebbe.
«Bisogna partire da cose ragionevoli, che trovino il consenso di tutti, anche dei più accaniti possessori di armi. Guardi: anche io possiedo una pistola, acquistata legalmente e che uso solo al poligono. Ma vedo che finiscono sempre più in mani sbagliate: e non parlo solo di psicopatici che fanno stragi ma anche di bambini che le maneggiano accidentalmente. Sì, limiti servono. E molti lo pensano ma non basta. Nel paese ci sono troppe armi a cui la gente non vuol rinunciare. La maggioranza degli americani non vuole che le cose cambiano».
Lei parla di malattia mentale.
Pensa che il killer del campus fosse un pazzo?
«Sicuramente era qualcuno che aveva rotto i ponti con la realtà. E lo aveva scritto ovunque. Possibile che quanto meno sua madre non si fosse resa conto che aveva delle armi, che era pericoloso? Ma il nostro è un sistema dove è difficile trovare aiuto in queste situazioni».
Cosa passa nella mente di un killer?
«È un argomento che ho studiato molto: chi compie atti del genere non ha il senso delle conseguenze, si sente superiore e vive solo per quell’attimo. Nella mente del killer c’è solo la morte. Nessun futuro, nessun passato. Nessun pensiero al dolore che si causa. E nessuna paura per se stessi».