sabato 31 ottobre 2015

Repubblica 31.10.15
Turchia
Il presidente cerca una rivincita dopo aver perso la maggioranza assoluta a giugno. Domani ai seggi ci sarà un’affluenza record, ma il paese è arroventato da spaccature e odio. Che in un Medio Oriente in subbuglio mettono in allarme anche l’Occidente
Nella Turchia al voto è il giorno della collera Dalla sfida di Erdogan un’ombra sull’Europa
di Bernardo Valli


In questo momento Ankara ha un’importanza particolare perché ospita due milioni di profughi e perché nell’area rappresenta una sorta di diga per il nostro continente. Gli alleati Nato auspicano la stabilità, ma una conferma al potere del partito dell’attuale leader potrebbe avere un prezzo alto sul terreno delle libertàdemocratiche

ISTANBUL I TURCHI andranno a votare in massa. A casa dovrebbero restare soltanto i malati gravi e i vecchi paralizzati dagli anni. Si prevede infatti che l’affluenza sfiori il novanta per cento. Se il pronostico degli esperti è esatto sarà battuto un record mondiale di partecipazione democratica. L’atmosfera non è tuttavia quella di un paese che va alle urne per compiere il puntuale rito di una società libera. Le elezioni di domani sono una sfida che avviene nella collera. C’è odio nell’aria. Il sangue dei recenti attentati, a Suruç e ad Ankara, è nelle memorie. Le provocazioni del potere hanno arroventato vecchie rivalità e sollecitano una risposta, che può essere una rivincita. Il voto appare in questo caso uno scontro che non si limita alle urne. L’esito di domenica, sulla cui regolarità non mancano gli scettici, sembra destinato ad approfondire la spaccatura nella società. Gli alleati della Nato, che non erano ostili a un eventuale ingresso della Turchia nell’Unione Europea, hanno numerosi motivi di essere perplessi: se l’auspicata stabilità dipende dalla permanenza di Recep Tayyip Erdogan al potere, il prezzo, sul terreno delle libertà democratiche, è piuttosto alto. In questo momento il paese ha un’importanza particolare anche perché ospita due milioni di profughi che possono riversarsi sull’Europa. Inoltre, nel Medio Oriente in preda a convulsioni, la Turchia resta, nonostante le attuali debolezze, qualcosa di simile a una diga per il nostro continente. Insomma, il suo voto di domani ci riguarda.
Il presidente, insoddisfatto del risultato delle elezioni del 7 giugno, rimanda 50 milioni di turchi nei seggi. Cinque mesi fa il suo partito (Giustizia e Sviluppo) non ha ottenuto la maggioranza assoluta come nei tredici anni precedenti e lui l’ha presa come un insulto. Il 40,86 per cento non consentiva a Ahmet Davutoglu, il suo primo ministro, di governare da solo, e non riuscendo a formare una coalizione con altri partiti, il presidente ha rispedito i turchi a votare.
Erdogan è un leader impetuoso, incline alla provocazione. Ieri mattina, quarantotto ore prima della domenica elettorale, due giornali dell’opposizione, Bugun e Millet , sono comparsi nelle edicole con vistosi titoli favorevoli al governo. Sul primo, Bugun , campeggiava una fotografia del presidente con la didascalia “la nazione in piazza”. Sul secondo, Mille t, il presidente era in automobile, accompagnato dalla scritta “Turchia un cuore solo”. Per i lettori era una beffa. Uno scippo. I due quotidiani, messi sotto controllo giudiziario dalla procura della Repubblica per avere fatto “propaganda al terrorismo”, erano diventati in un paio di giorni governativi. Dopo essere stati commissariati dalla Giustizia, si sono convertiti a Erdogan.
Il quale è allergico alla stampa e alla televisione che lo criticano. Due canali privati della tv sono stati messi a tacere dalla polizia generosa in lacrimogeni, e all’inizio d’ottobre altri sette gruppi erano stati chiusi. Secondo Tuluhan Tekelioglu, una produttrice indipendente, mille giornalisti sono stati licenziati dal 2013, dopo le manifestazioni in difesa del parco Gezi, nel cuore di Istanbul. Il 7 settembre è stata attaccata con lanci di pietre la redazione di
Hürriyet e alla testa degli aggressori c’era un deputato dell’Akp, il partito della Giustizia e dello Sviluppo. Sono presi di mira soprattutto i media del predicatore Fethullah Gülen, un miliardario residente negli Stati Uniti, un tempo stretto alleato di Erdogan e da alcuni anni severo critico della sua azione.
Tenendo le fila di una confraternita che anima numerose attività, e dispone di grandi mezzi, Fethullah Gülen è un avversario potente. E Erdogan cerca di neutralizzarlo. L a sua campagna elettorale è stata pesante. La rottura della tregua con i kurdi del Pkk fuori legge ha condotto a repressioni non solo nel sud est della Turchia, ma anche in Siria e in Iraq, dove i curdi sono una fanteria valida per la coalizione guidata dagli Stati Uniti (alla quale i turchi partecipano) ed anche per la Russia entrata di forza nel conflitto. Erdogan si trova così in una posizione scomoda nel vedere che quelli che considera in modo ossessivo i suoi nemici hanno tanti amici potenti. Ma non dando tregua ai curdi Erdogan compatta la sua base elettorale, quella un tempo soprattutto rurale, in particolare dell’Anatolia, negli ultimi anni favorita dal successo economico, fino a diventare un’estesa classe media islamica.
Nel frattempo il miracolo economico turco è finito, ed è svanita anche la forte seduzione che l’Islam “moderno” di Erdogan esercitava in Medio Oriente, nei paesi tentati dalla democrazia e ammirativi di una società musulmana più disinvolta, come appariva quella visibile nelle telenovelas realizzate a Istanbul. Tuttavia Erdogan può vantare di essere stato il promotore e la guida di quel momento fortunato. E conserva l’appoggio di quella parte della società islamica che ne ha usufruito. Non gli mancano gruppi di fedelissimi, “fino alla morte”. È perlomeno quello che proclamavano i manifestanti del 2013, scesi in piazza per respingere le accuse di corruzione contro di lui. Erano coperti da lenzuola che rappresentavano i sudari in cui i musulmani avvolgono i morti quando li seppelliscono. Era un modo per dimostrare che erano pronti a sacrificarsi per il loro capo. Adesso Erdogan promette l’ordine e con l’ordine il ritorno al successo economico. Il suo discorso sembra funzionare, poiché i sondaggi gli pronosticano per domani un aumento di voti. Dal 40 per cento di giugno potrebbe passare al 42 o anche al 47 per cento. Comunque non avrebbe la garanzia di ottenere una maggioranza assoluta in Parlamento. E lui conta invece di raggiungere un quoziente sufficiente per dare un’impronta presidenziale alla Costituzione.
L’altra parte della società, quella che si definisce laica cerca di arginare le ambizioni di Erdogan. È una popolazione spesso urbana, in cui non mancano radici borghesi assai più profonde di quelle dei nuovi benestanti dell’Anatolia contadina. Lo scontro elettorale tra questi gruppi sociali potrebbe concludersi con due frustrazioni: nel caso il presidente non raggiungesse la sperata maggioranza assoluta, e non volesse o non riuscisse a formare una coalizione per lui umiliante; e gli avversari divisi dovessero restare in balia dell’imprevedibile volontà di Erdogan, privato di una vittoria completa ma pur sempre il più forte. Ritenterebbe quest’ultimo un’altra elezione?
La Turchia laica ha come principale espressione politica il Partito repubblicano del popolo (Chp), considerato socialdemocratico e con origini kemaliste (da Kemal Atatürk). In giugno ha avuto il 25 per cento. Gli pronosticano due punti in più. Una sua alleanza con Erdogan risolverebbe il problema di una maggioranza di governo. Ma sono pochi quelli che la ritengono possibile. Un’intesa tra le due anime della Turchia non è per ora realizzabile. E il comportamento recente del presidente islamico-conservatore non la favorisce. Il socialdemocratico Sezgin Tanrikulu ha definito l’attacco a giornali e televisioni «una violazione del diritto di voto». Il Partito democratico dei popoli (Hdp), di sinistra e filocurdo, ha ottenuto il 13,12 per cento in giugno ed è entrato per la prima volta in Parlamento privando in parte il partito di Erdogan dei suffragi necessari per avere l’agognata maggioranza assoluta. E quindi è una delle cause principali della collera del presidente. Resta in teoria a quest’ultimo un’alleanza con l’estrema destra nel caso di un nuovo insuccesso domani sera. Ma sono in molti a escluderla.