sabato 31 ottobre 2015

Corriere 31.10.15
Generazione anti Erdogan È il «partito dei curdi», ma lo votano anche i ragazzi di Gezi Park. Chiedono più diritti. Domenica l’Hdp può rovinare i giochi del presidente
di Elisabetta Rosaspina


ISTANBUL Il vecchio Ford Transit con la faccia di Selahattin Demirtaş incollata sulle fiancate, e la musica sparata a tutto volume dagli altoparlanti sul tettuccio, arranca per i vicoli di Tarlabasi, quartiere ad alta densità curda di Istanbul, festeggiato dai ragazzini come un tank americano a Napoli nell’ottobre del 1943: «Le parole della canzone sono un inno ai diritti delle donne e dei bambini» informa, allegro, Halit Akaj, 27 anni, pescatore prestato alla campagna elettorale, entrando nella minuscola sede di quartiere dell’Hdp, il Partito Democratico dei Popoli, che ha guastato i tredici anni di monopolio incontrastato del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan.
Alle pareti, i ritratti di Abdullah Öcalan, il leader del Pkk condannato all’ergastolo, si mescolano alle gigantografie di Demirtaş, il presidente dell’Hdp, di Deniz Firat, reporter e combattente morta a Şengal l’anno scorso, per fermare gli uomini del Califfato, e di altre «martiri» della causa curda. Qui sì, i cuori battono per Kobane: i filmati dei combattimenti contro l’Isis scorrono sugli schermi dei telefonini come immagini sacre. «Ma non vogliamo altri morti, nè curdi nè turchi. È ora di trovare un accordo» assicura Halit.
Il tempo di un rapido rifornimento di materiale elettorale e si riparte, rumorosi e traballanti, su verso Istiklal Caddesi, il viale dell’Indipendenza, cuore dell’antico quartiere di Pera (oggi Beyoglu), in una corsa contro il tempo per convincere gli indecisi a scegliere domani, nel segreto dell’urna, il volto nuovo della politica, l’avvocato della pace Demirtaş, il solo bastone tra le ruote del Sultano.
La Turchia va alle elezioni anticipate, con le ferite ancora aperte di tre attentati in meno di sei mesi: il 5 giugno a Diyarbakir, 4 morti; il 20 luglio a Suruc, 33 morti; il 10 ottobre ad Ankara, 102 morti. Con i sigilli ancora applicati a tivù e quotidiani d’opposizione. Con i giornalisti in carcere o sotto la minaccia di finirci per sempre, come Can Dundar, il direttore di Cumhuriyet , sgomberato ieri per un allarme bomba. Con un Paese diviso e spaventato dalle bandiere nere dell’Isis poco oltre il confine sud-orientale. Con due milioni di profughi siriani e molti altri in arrivo.
Ma è una partita a due, quella che si giocherà domani, tra il partito islamico, l’Akp, del presidente Erdogan e l’Hdp di Demirtaş. «I curdi votano per Hdp, il partito. I turchi votano per Selahattin Demirtaş, il leader»: Can ha 22 anni e nemmeno una goccia di sangue curdo nelle vene, ma come responsabile giovanile della piccola e agguerrita formazione traccia l’identikit del suo elettorato. «Puntiamo a passare da 80 a 110 deputati — si sbilancia questo giovane studente di Sociologia, originario di Bayburt —. Le stragi hanno danneggiato soltanto Erdogan. I giovani che hanno sostenuto Demirtaş il 7 giugno non cambieranno il loro voto per paura. Dopo Gezi Park qualcosa è cambiato».
Nel parco di piazza Taksim, quasi due anni e mezzo fa, opponendosi alle ruspe che volevano spianare gli alberi per far posto a un centro commerciale, e ai gas lacrimogeni della polizia, si è formata una generazione che non si lascia più intimidire: «Anche se venivamo da ideologie e partiti diversi, io per esempio dai socialisti, abbiamo occupato, dormito, resistito insieme. Molti dei nostri genitori votano il partito kemalista, perché diffidano ancora di un partito filo-curdo. Ma i giovani sono stufi del grigiore e della burocrazia del potere» promette Can. A pochi metri da lui il suo coetaneo turco Özgur, studente di Storia della Scienza, fa volontariato come soldatino semplice, dritto e immobile con la pettorina dell’Hdp e nella mano alzata una copia del giornale di partito, come gli strilloni di una volta. «A Gezi Park abbiamo vissuto la spaccatura irreversibile tra una mentalità sciovinista e lo spirito di fratellanza e uguaglianza. E io ho capito che cosa voglio fare da grande — ride —. La rivoluzione!». Sorridono, poco distanti, gli occhi della diciannovenne Zehra, incorniciati da un velo leopardato: «Sto con Hdp perché non c’è partito mıgliore in Turchia per una donna, per la difesa dei diritti e dell’uguaglianza. E se porto il velo è per mia libera scelta». Il segreto secondo Ayşe Erdem, co-presidente del partito a Istanbul, è che «Hdp non si occupa delle donne ma è un partito di donne».
Anche Dilan, 24 anni, trova che simpatizzare per l’Hdp sia facile: «È un tetto sotto il quale si ritrovano tutte le etnie e, quando avremo vinto, troveremo i responsabili di tutte queste stragi». Era a Suruc il giorno dell’attentato, Dilan, che studia per diventare infermiera: «Sono arrivata subito dopo. Un amico mi è morto fra le braccia. Volevo tagliare i suoi pantaloni per curarlo. Mi ha detto: no, non ho un altro paio. Gli ho risposto: se riesco a salvarti te ne compro altri dieci. Non ci sono riuscita». Ora distribuisce volantini a Istanbul anche per lui.