giovedì 29 ottobre 2015

Repubblica 29.10.15
Renzi e l’errore di puntare al Centro
di Piero Ignazi


LA realtà dei numeri spesso sfata leggende metropolitane. Una di queste racconta che Renzi, maltrattando uomini e temi della sinistra ex comunista, abbia sedotto elettori di centro-destra alle elezioni europee dell’anno scorso. Ma è una narrazione campata per aria. L’équipe di ricerca guidata da Paolo Segatti ha calcolato, con metodi accurati, che in quell’occasione i voti provenienti da destra oscillano intorno al mezzo milione: un 5 per cento del mitico 40,8. Uno stormir di fronde, insomma, null’altro.
Eppure si è dato molto credito all’immagine dello sfondamento al centro operato dal premier. In effetti, Renzi fa di tutto per blandire quell’elettorato e gli ultimi provvedimenti in Finanziaria, dall’innalzamento dell’uso del contante all’abolizione dell’Imu, vanno in quella direzione. Saranno solo contentini per l’alleato Alfano, ma certo il Pd non si presenta all’opinione pubblica con una immagine diversa, orientata a sinistra. Anche i provvedimenti di sostegno alla povertà infantile, tema forte del laburismo blairiano delle origini, non hanno avuto la centralità che avrebbero meritato. Forse il presidente del Consiglio e il suo staff non sono bravi a comunicare?
Non è così. Renzi è convinto, sulla scia di tanti suoi consiglieri, che solo picconando la sinistra e i suoi valori si guadagnino consensi. Invece, vale il contrario. E cioè, solo connotando il Pd come una forza di sinistra moderna e riformatrice si può fare il pieno dei voti, perché in tal modo si attinge a tutto il serbatoio elettorale di quell’area. Infatti, la pioggia di consensi alle europee è venuta da elettori di sinistra che hanno rifiutato l’offerta prospettata loro dal Pd nel 2013, ma che erano disponibili a votarlo se l’offerta fosse stata diversa. Esattamente ciò che è successo.
Allora, che ne è dello sfondamento a destra? Ha senso, è possibile, è vantaggioso? In larga misura è una chimera, perché lo spazio politico, a livello elettorale, tra i cittadini, rimane rigidamente segmentato, con confini ben tracciati, tra una destra e una sinistra; e a queste due polarità si è aggiunto un “altrove” rappresentato dal M5s che taglia i due schieramenti, anche se si sta orientando sempre più verso sinistra.
Il problema per Renzi è che per conquistare voti a destra non basta picconare i propri oppositori interni e abbracciare Verdini e compagni, o imitare Tremonti su tasse e contante libero. Gli elettori di destra vogliono cose di destra: punizioni più severe per i criminali e introduzione della pena di morte, niente assistenza ai rifugiati, niente matrimoni omosex, niente salario minimo, niente assistenza sanitaria generalizzata, taglio alla 194 sull’interruzione di gravidanza, e così via. Inseguire questi elettori significa proporre loro una politica incompatibile con il Pd. Ma si dirà: ci sono gli elettori di centro, i moderati. Anche questa è una pia illusione. Perché, a partire dal 1994, quell’elettorato è stato stritolato dalla competizione bipolare destra/sinistra. La dinamica bipolare ha liberato le pulsioni di una destra “dura” che covava sotto le ceneri democristiane e che Silvio Berlusconi ha chiamato alle armi facendo appello, soprattutto ma non solo, all’anticomunismo. La polarizzazione indotta dal forzaleghismo ha azzerato l’area moderata. L’insuccesso di Scelta Civica ne è l’ultima conferma. Il rischio della strategia renziana di rincorsa al centro è quindi duplice: non guadagna granché sul quel versante e scontenta i suoi elettori tradizionali, rimobilitati finalmente al voto per il Pd alle europee dopo le tante delusioni del passato (in fondo, il leitmotiv dei tanti quadri di partito che nelle zone rosse hanno votato in massa per Renzi nelle primarie del 2013 suonava così: “vogliamo vincere”). A questo duplice rischio se ne aggiunge un altro: andare al ballottaggio senza avere alleati, e anzi avendo tutti coalizzati contro. Lo stile politico del presidente del Consiglio, decisionista e assertivo, la convinzione prometeica di portare egli solo, e da solo, la luce, hanno creato il vuoto attorno al Pd, salvo spezzoni di ceto politico in cerca di prebende. In queste condizioni il ballottaggio si presenta molto insidioso per il Partito democratico, soprattutto se avrà di fronte il M5s, capace di coagulare, nello scontro finale, il sostegno della destra in quanto essa è, tuttora, “strutturalmente” antitetica alla sinistra. Uno scenario già visto alle amministrative di Parma e Livorno. Uno scenario da brivido per la leadership democrat.