Repubblica 27.10.15
Come combattere la povertà
di Chiara Saraceno
SEICENTO milioni di euro in più destinati alla lotta alla povertà. Aggiunti a quelli già stanziati in questo settore per diversi istituti, portano a concentrare sul contrasto alla povertà, in particolare minorile, un miliardo e seicento milioni circa di euro. Molto meno di quanto sarebbe necessario, ed anche molto meno di quanto stanziato per l’eliminazione della Tasi sulla prima casa anche a persone abbienti. Si tratta tuttavia di una svolta, se non epocale come sostiene il governo, certo importante nel policy making italiano. Non siamo ancora all’introduzione di un reddito minimo per chi si trova in povertà. Gli adulti che si trovano in povertà nel nostro paese, infatti, continuano ad essere considerati un non problema e tanto meno soggetti privi di diritti ad una vita dignitosa. I minorenni (e i loro genitori), tuttavia, stanno finalmente acquisendo lo status di “poveri meritevoli”.
È bene ricordare che, secondo le stime Istat, ci sono in Italia 1.046.000 minori in povertà assoluta, la stragrande maggioranza dei quali, 861mila, vive in una famiglia in cui c’è almeno un occupato, ovvero dove il reddito da lavoro non è sufficiente a garantire un livello di vita adeguato. Anche la questione della povertà educativa che spesso si accompagna alla povertà economica, anche se non sempre vi coincide, ha avuto un almeno simbolico riconoscimento, con un piccolo stanziamento ad hoc teso a incentivare l’opera delle fondazioni in questo settore, una piccola pezza per compensare la tragica assenza del tema delle disuguaglianze educative dalla legge sulla “buona scuola”.
La somma stanziata per il 2016 non basterà tuttavia nemmeno a sollevare dalla povertà assoluta tutti e nemmeno la maggior parte dei minori in povertà assoluta e le loro famiglie, per due motivi. In primo luogo, almeno per il 2016, continuerà a rimanere distribuito tra i frammentati ed eterogenei istituti esistenti, con i conseguenti rischi di inefficacia, sovrapposizione ed esclusione: vecchia carta acquisti (40 euro mensili) destinata ad anziani ultrasessantacinquenni e bambini sotto i tre anni con reddito Isee fino a 6700 euro annui, nuova carta acquisti (o Sia) di importo molto più consistente (fino a 231 euro mensili per un monogenitore con un figlio) inizialmente sperimentata in 12 grandi comuni ed ora in ipotesi estesa a tutti i nuclei familiari con minori con Isee fino a 3000 euro annui (la metà circa di quello della vecchia carta acquisti), e il nuovo Asdi, simile alla nuova carta acquisti per tipologia categoriale (famiglie con figli minori a bassissimo reddito), ma destinato a coloro che hanno esaurito il diritto alla indennità di disoccupazione o Naspi.
Rimangono, inoltre, in piedi il bonus bebé, destinato per un triennio ai nuovi nati o neo-adottati in famiglie a basso reddito, e l’assegno per il terzo figlio destinato a famiglie a basso reddito con almeno tre figli tutti minorenni. In secondo luogo, la soglia Isee individuata per le due misure più sistematiche e su cui è convogliata la maggior parte delle nuove risorse (l’Asdi e la nuova carta acquisti Sia) è molto più bassa della soglia di povertà assoluta. Il Ministero del lavoro e delle Politiche sociali valuta che verrà coinvolta al massimo la metà circa dei minori in povertà assoluta e delle loro famiglie; e neppure loro ne usciranno davvero.
Si dice che il miliardo e mezzo diventerà strutturale e che vi è una delega al governo per riordinare tutti gli istituti di sostegno ai poveri (con minori) per arrivare ad un unico strumento, o meglio due, dato che l’Asdi è dato come avviato ad essere messo a regime, mantenendo quindi una distinzione categoriale a parità di bisogno. Ma nell’avviarsi in questa direzione bisognerà pure interrogarsi sulla legittimità e opportunità di mantenere i non minorenni e chi non ha figli al di fuori del perimetro della vita dignitosa.
Quanto è più bassa l’integrazione di reddito, tanto più ricche dovranno essere le risorse fornite sul piano della formazione, dei servizi educativi e di cura e così via. Altrimenti non si accorceranno le distanze nelle opportunità di vita e nella possibilità di sviluppo delle capacità tra chi è povero (e cresce povero) e chi non lo è. I tagli alla sanità, quelli ai servizi che deriveranno dalla eliminazione della Tasi, l’assenza di investimenti mirati sulla scuola nelle zone più svantaggiate, vanno, tuttavia, in direzione opposta. C’è ampio spazio perché il Parlamento migliori il percorso iniziato, in direzione di maggior universalismo a parità di bisogno ed efficacia.