Repubblica 27.10.15
Sull’evasione braccio di ferro nel cuore dello Stato
La minoranza pd accusa Renzi di complicità con i “furbetti”
E all’opposto Alfano si vanta dei contanti a 3000 euro
di Stefano Folli
La lite intorno all’Agenzia delle Entrate è una fotografia brutta ma realistica in cui si riassumono le contraddizioni del momento e tanta retorica. Si è evocata la lotta all’evasione fiscale per insinuare che il premier Renzi la vuole annacquare, impedendo all’Agenzia di lavorare come dovrebbe. La minoranza del Pd e l’estrema sinistra di Sel sembrano aver trovato un nuovo cavallo di battaglia, dopo l’esito non trionfale della battaglia contro la riforma elettorale. Ma c’è il rischio di commettere lo stesso errore di qualche settimana fa.
Allora si diceva che l’Italicum era un attentato alla democrazia. Poi gli stessi che lanciavano questa accusa terribile e inconsueta hanno votato, tranne alcune eccezioni, la riforma al Senato, accontentandosi di un modesto compromesso. Oggi si adombra che il presidente del Consiglio favorirebbe gli evasori perché ha innalzato la soglia del contante e soprattutto perché non metterebbe l’Agenzia in condizione di adempiere ai suoi compiti. Ci sarebbe motivo per un’immediata crisi di governo, se metà di tale sospetto fosse fondato, invece si tratta di un litigio nella maggioranza, uno dei tanti in cui si manifesta il malessere di qualche settore nei confronti di Palazzo Chigi.
Finora questi sussulti non hanno mai superato la soglia di guardia, vale a dire che non si sono mai trasformati in una vera e propria pietra d’inciampo politica. C’è un abisso fra le parole (democrazia in pericolo, evasori salvati) e i fatti, ossia la tendenza a trovare accomodamenti di breve raggio. Il che non garantisce per il futuro: prima o poi il gioco può anche sfuggire di mano. In questo caso, peraltro, la vicenda è spinosa quanto lineare. I funzionari dell’Agenzia protestano per ragioni contrattuali e normative, la Consulta ha dato loro torto e tuttavia la direttrice dell’organismo li difende perché l’agitazione mette a rischio il raggiungimento degli obiettivi prefissati. I funzionari sono pochi, ma fanno pesare fino in fondo il loro ruolo cruciale. Quel che chiedono non è poca cosa, dal momento che per accontentarli nelle loro richieste si dovrebbe in sostanza aggirare la Corte.
Il nodo che rende la vicenda meno scontata del solito è solo uno. La polemica non è nata in sede politica, dove un’intesa si trova sempre: questa volta a ribellarsi, per motivi giusti o sbagliati, è un pezzo di bu-rocrazia statale. I politici, specie gli anti-Renzi del Pd, hanno approfittato dell’occasione per scendere in campo. E all’interno del governo il sottosegretario Zanetti, rappresentante di un minuscolo partito ormai quasi inesistente (Scelta Civica, ex Monti), ha assunto una posizione intransigente nel “no” al ricatto dei funzionari. Viceversa, il ministro Padoan ha preso le distanze dal suo sottosegretario e si è affrettato a rassicurare l’Agenzia, la sua direttrice e il personale. Si preoccupa, è evidente, della possibile paralisi e del danno certo che ne verrebbe per le casse pubbliche.
Non è una bella storia perché racconta di un braccio di ferro nel cuore dello Stato. Rivela anche il corto respiro di un dibattito politico che rincorre gli eventi e nasconde la mancanza di idee dietro “slogan” di facile effetto. Ma l’aspetto più inquietante riguarda il fatto che la burocrazia non è compatta. Man mano che si accorcia la coperta della finanza pubblica, emergono i risentimenti. Le riforme non sono indolori, specie quelle che intaccano gli stipendi degli apparati. Peraltro, anche l’atteggiamento insofferente di una parte della magistratura dovrebbe insegnare qualcosa. Sono questioni di cui il presidente del Consiglio dovrà preoccuparsi al suo rientro dall’America Latina, assai più che dei nervosismi della minoranza del Pd. Semmai dovrà riflettere sulla crepa nel governo in merito alla faccenda del contante. Quando un personaggio prudente come il ministro Franceschini sottolinea il “cedimento” alle posizioni di destra del suo collega Alfano, si coglie una sottile, indiretta ma chiara critica a Renzi. E senza dubbio il buon senso indurrà il premier a chiudere qualcuno dei fronti aperti.