domenica 25 ottobre 2015

Repubblica 25.10.15
La falsa scienza
Tra articoli smentiti e studi ritrattati il mondo della ricerca finisce sempre più spesso sotto accusa anche grazie al controllo sul web
La pubblicazione su “Nature” oppure su “Science” a volte decide il destino di una carriera Questo alimenta la pressione e il rischio di comportamenti scorretti che oggi possono essere scoperti attraverso blog tematici
di Massimiano Bucchi


Publish or perish, “pubblica o muori”, questa la brutale sintesi che spesso si fa del destino di un ricercatore. Lo scienziato giapponese Yoshiki Sasai purtroppo ha fatto entrambe le cose. Esperto di cellule staminali di fama internazionale, Sasai si è impiccato il 5 agosto 2014 nel proprio studio all’istituto Riken, dopo che due articoli di cui era co-autore era stati “ritrattati” dalla prestigiosa rivista scientifica Nature alcuni mesi dopo la loro pubblicazione. Gli articoli annunciavano la sensazionale scoperta di un metodo per trasformare normali cellule in cellule staminali pluripotenti – sarebbe stato “il sacro Graal della medicina rigenerativa”. Peccato che riciclassero immagini della tesi di dottorato della sua collega Haruko Obokata, che risultò anche aver pesantemente manipolato i dati dell’esperimento.
Anche se per fortuna l’epilogo non è sempre così tragico, la ritrattazione ( retraction ) è una delle cose peggiori che possano accadere ad un ricercatore e ad una pubblicazione scientifica, una sorta di “lettera scarlatta” impressa sul bene più prezioso di chi lavora nel mondo della scienza: la reputazione. Purtroppo simili casi non possono più essere liquidati come vicende eccezionali, né limitati a studiosi e pubblicazioni marginali o di dubbia reputazione. I principali database di pubblicazioni scientifiche, PubMed e Web of Science, indicano infatti come negli ultimi dieci anni il numero di pubblicazioni ritrattate sia cresciuto del 1000%, mentre nello stesso tempo il numero di articoli pubblicati è aumentato del 44%. Da circa 30 casi nel 2002 si è passati a quasi 400 nel 2014. Il fenomeno, come nel citato caso giapponese, investe sempre più frequentemente il gotha delle pubblicazioni scientifiche: si contano oltre trenta ritrattazioni tra il 2001 e il 2010 per la rivista
Science e poco meno per la stessa Nature ; venti casi solo nell’ultimo quinquennio per la non meno influente Proceedings of the National Academy of Sciences .
Una tendenza così evidente non può non portare ad interrogarsi sulle sue cause, anche perché le pubblicazioni ritrattate sono solo la punta dell’iceberg. Non tutti gli errori o le manipolazioni vengono scoperte, né conducono effettivamente a ritirare l’articolo; le riviste sono riluttanti a ritrattare studi pubblicati, e soprattutto a rivelare i motivi della ritrattazione. Secondo un’approfondita analisi svolta con alcuni colleghi da Ferric Fang della University of Washington School of Medicine nell’ambito della biomedicina e delle scienze della vita, solo una ritrattazione su cinque è dovuta alla genuina ammissione di errori. Oltre due casi su tre, invece, sono dovuti a plagio (10%) o vere e proprie frodi (oltre il 40% dei casi). Tre quarti dei comportamenti fraudolenti vengono da ricercatori attivi tra Stati Uniti, Germania, Cina e Giappone, mentre Cina e India messe insieme producono più casi di plagio degli Stati Uniti (e per una volta, ci dà sollievo trovare l’Italia agli ultimi posti di una classifica del settore scientifico).
Dunque nella maggioranza dei casi non si tratta di sviste, ma di comportamenti deliberati che vanno probabilmente inquadrati nel contesto di una pressione sempre maggiore nei confronti dei ricercatori per ottenere risultati rapidi e clamorosi. Pressioni per ottenere finanziamenti e visibilità non solo scientifica, ma anche mediatica per singoli e istituzioni di ricerca, aspettative di ritorno economico o perfino di stampo nazionalistico. L’enfasi con cui era stata accolta in Giappone la scoperta di Sasai e Obokata assomiglia molto a quella che accompagnò il caso Hwang una decina di anni fa in Corea del Sud: acclamato come eroe nazionale con francobolli a lui dedicati già in stampa, Hwang dovette ammettere di aver falsificato i dati del proprio esperimento.
La preoccupazione nella comunità scientifica è tale che il blog Retraction Watch, creato cinque anni fa da due esperti di editoria medico-scientifica, è divenuto rapidamente uno dei più popolari nel mondo scientifico con oltre 15 milioni di visualizzazioni. I più pessimisti lo considerano un deprimente bollettino giornaliero di guerra; i più ottimisti un’espressione della capacità della scienza di riconoscere e affrontare apertamente i propri errori. Il blog offre tra l’altro una singolare “hit parade” degli scienziati più “ritrattatori del mondo”. Al primo posto, l’inarrivabile (si spera) record dell’anestesiologo giapponese Yoshitaka Fujii, autore di ben 183 papers ritrattati. Roba da far impallidire perfino il mitico Diederik Stapel, star della psicologia olandese poi divenuto tristemente celebre per aver inventato, perlopiù di sana pianta, oltre cinquanta ricerche che trovavano regolarmente spazio sulle pubblicazioni scientifiche e nei media generalisti sapendo vellicare sapientemente le aspettative di colleghi e lettori.
Ma secondo Ivan Oransky, uno dei fondatori del blog, l’esplosione delle ritrattazioni segnala anche problemi ormai strutturali nel mondo delle pubblicazioni scientifiche e nelle stesse modalità di verifica dei risultati. È di questi giorni la notizia che uno dei colossi dell’editoria scientifica, Elsevier, ha dovuto ritrattare nove articoli approvati dopo revisioni rivelatesi “fasulle” (probabilmente concordate con gli stessi autori); in precedenza, ben 120 articoli erano stati ritirati da riviste di informatica del gruppo Springer poiché generati automaticamente, si è scoperto, utilizzando un software. È addirittura emerso che lo sciagurato articolo giapponese sulle cellule staminali era stato respinto da tre riviste, tra cui la stessa Nature che poi l’ha pubblicato!
Una simile crisi non riguarda ormai solo gli addetti ai lavori ma investe potenzialmente anche lo stesso statuto delle conoscenze e delle loro applicazioni, delineando scenari inquietanti soprattutto in settori come quelli legati alla salute e alla medicina. L’impatto di articoli e riviste smentiti infatti talvolta non si ferma neppure dopo la ritrattazione: Scott Reuben, definito da Scientific American “il Madoff della medicina”, è finito addirittura in carcere, ma una dozzina dei suoi studi ritrattati continuano ancor oggi imperterriti ad accumulare citazioni da parte dei colleghi.
Come si esce da una situazione che rischia di innescare una perdita di fiducia generalizzata nelle stesse modalità di produzione e validazione dei risultati di ricerca? Molti ritengono che si debba mettere innanzitutto in discussione il potere smisurato di alcune pubblicazioni e gruppi editoria-li, divenuti veri e propri “oligopoli epistemici”. Un articolo su Nature o Science può decidere il destino di una carriera di ricerca, alimentando la pressione e il rischio potenziale di comportamenti scorretti. Con risvolti in certi casi perfino comici. Nel 1987, stanco di vedersi rifiutare un articolo, il fisico americano William Hoover decise di rimandarlo al Journal of Statistical Physics cambiando solo il titolo e aggiungendo un inesistente co-autore: la rivista accettò immediatamente di pubblicarlo.
Sarebbe bastato un revisore italiano per svelare subito la burla dello scienziato: il fantomatico coautore era infatti un certo esponente del fantomatico “Institute of Advanced Studies di Palermo”, tuttora presente nei database scientifici e citato 143 volte.