Repubblica 25.10.15
Argentina.
Lo scrittore Martín Caparrós racconta chi sono i favoriti alla successione della Kirchner. Ricchi, potenti e furbi, Scioli e Macri sono facce diverse della stessa medaglia
“Candidati diversi, stesso risultato sono elezioni tristi”
di Martín Caparrós
È PROBABILE che vinca un signore 50nne che si chiama Daniel Scioli, o un altro 50nne, Mauricio Macri, e non ci sarebbe una grande differenza. Da tanto tempo non si vedeva in Argentina una scelta tra due candidati così simili. Vengono entrambi dall’immigrazione italiana che ha fatto fortuna, da genitori industriosi che si sono arricchiti con tutti i poteri. Entrambi sono 50nni ben piantati, hanno belle mogli, abiti eleganti: due figli di papà che si annoiavano divertendosi e non avevano alcuna attività nota finché non si imbatterono nello sport. Scioli si è dedicato alla motonautica – hanno inventato una categoria nella quale corre da solo e di cui è diventato campione – e Macri al calcio: a immagine e somiglianza di Silvio Berlusconi, è diventato famoso con la presidenza di una società famosa, il Boca Juniors. Tutti e due esibiscono sorrisi splendidi e dissimulano benissimo la propria intelligenza. Quando gli chiesero che cosa leggessero, Macri disse che la sua scrittrice preferita era Ayn Rand, la guru degli ultraliberali nordamericani, e Scioli disse che aveva un dipendente che leggeva per lui e poi glielo raccontava.
Tutti e due sono entrati in politica nei partiti della destra imprenditoriale degli anni ’90; Macri vi è rimasto in modo più chiaro, Scioli in modo dissimulato, perché è il candidato di una linea politica di sostegno al governo che contesta quegli anni. Nessuno dei due ha mai dovuto assumersi la responsabilità di un programma, di convinzioni, di progetti per il paese. Tutti e due intendono la politica come uno spazio dove avere potere, e il potere come modo per avere più potere. Entrambi sono il miglior esempio della democrazia sondaggista, che convince i praticanti a non dire mai quello che pensano. Dicano piuttosto quello che gli fanno dire i sondaggi.
Entrambi governano: Macri la città di Buenos Aires, Scioli la provincia di Buenos Aires. Tutti e due hanno la possibilità di ottenere la presidenza, ma Scioli di più: la capricciosa legge elettorale argentina gli permetterebbe di vincere al primo turno se ottenesse più del 45% dei voti – improbabile – o tra il 40 e il 45% e più del 10 % di scarto dal secondo – più facile. Anche in questo, il voto è ambiguo: Scioli può vincere al primo turno con, diciamo, il 42 %, Macri può perdere con il 32,5, andare al ballottaggio e magari vincerlo raccogliendo i voti antigovernativi.
Nonostante questi complicati meccanismi, era da tanto che in Argentina non si andava a votare con così poca passione. Se vince Scioli, lo spettacolo sarà quello della sua lotta contro Cristina Fernández, tuttora a capo del peronismo: la presidenta vuole mantenere il controllo per non farsi arrestare ed, eventualmente, tornare tra quattro anni; Scioli, nella miglior tradizione peronista, ha bisogno di distruggere colei che l’ha preceduto per governare. Se vince Macri l’interesse sarà nel vedere se riesce a controllare un paese che, secondo il mito, «può essere governato solo dai peronisti», perché possono fare tutto ciò che gli altri non possono.
Chiunque vinca l’Argentina sarà simile a se stessa: un paese con un’economia in declino, colpita dall’inflazione, che, come un secolo fa, dipende dall’esportazione di materie prime; un paese che, dopo un decennio di prezzi straordinari per quelle esportazioni e promesse di redistribuzione, ha un’economia concentrata nelle mani di pochi e ingiusta come vent’anni fa; un paese ricco dove un abitante su 4 è povero e marginale, vive con le elemosine delle istituzioni e non ha alcuna speranza di ottenere un lavoro in regola, un’assistenza sanitaria decente, un’educazione.
Sono elezioni tristi; sono, questo è chiaro, quelle che noi argentini abbiamo saputo ottenere. E sono il risultato di dodici anni di governo kirchnerista; a forza di parlare e parlare di un cambiamento sociale che non hanno mai avviato, a forza di mentire su quelle idee, sono riusciti a screditare qualsiasi idea di cambiamento. Questa Argentina che vorrebbe tornare indietro, che teme la novità come la peste, è la sua eredità.
(Traduzione di Luis E. Moriones)