mercoledì 21 ottobre 2015

Repubblica 21.10.15
Minoranza Pd e riforma
di Vannino Chiti


CARO direttore, da sempre leggo gli articoli di Eugenio Scalfari e ne traggo sollecitazioni utili a riflettere. Nel suo editoriale di domenica dedica un ampio spazio alla riforma costituzionale. Il fondatore di Repubblica sostiene che la minoranza del Pd si sarebbe convinta a votare a favore del Disegno di legge dopo aver ottenuto un emendamento privo in effetti di qualunque significato. Non sono d’accordo e spiego perché.
Nella sua versione originale il testo prevedeva che i 95 consiglieri e sindaci-senatori sarebbero stati eletti dai consigli regionali: la scelta era affidata esclusivamente ai gruppi politici regionali.
Per noi invece era indispensabile superare il bicameralismo paritario mantenendo il ruolo dei cittadini nella scelta dei senatori. Così sarà: solo la Camera darà la fiducia al governo e avrà l’ultima parola sulle leggi non bicamerali; ma grazie all’emendamento frutto della mediazione interna al Pd, i senatori saranno scelti dai cittadini. I Consigli regionali si limiteranno ad una ratifica. Una legge elettorale nazionale verrà approvata in questa legislatura: stabilirà le modalità con cui i cittadini sceglieranno i futuri consiglieri-senatori. Come si vede, viene fatto salvo un ruolo decisivo degli elettori che era venuto meno. Sono il primo a riconoscere che se questa intesa si fosse realizzata un anno fa la soluzione sarebbe stata espressa in forme meno barocche: non cambia la sostanza che riafferma il ruolo dei cittadini nello scegliere i propri rappresentanti.
Non è solo questa la modifica che ha spinto la minoranza del Pd a votare a favore della riforma costituzionale: al Senato sono state restituite competenze e funzioni che erano state sottratte nel passaggio alla Camera. Avrà poteri di controllo sulle nomine e sulle politiche pubbliche, un ruolo importante nelle politiche europee e nei confronti del sistema delle autonomie, eleggerà due giudici della Corte Costituzionale. È un aspetto decisivo per evitare che una maggioranza politica elegga a piacimento i cinque giudici costituzionali espressi dal Parlamento: per le modalità della loro nomina è evidente che almeno due — uno al Senato e uno alla Camera — saranno indicati dalle opposizioni. Scalfari converrà che non si tratta di un esito irrilevante.
Infine, con la nuova procedura di elezione del Capo dello Stato, si cancella il rischio che una sola parte politica, godendo del premio di maggioranza assegnato dall’Italicum, se lo elegga da sola dopo un certo numero di votazioni. Così sarebbe stato con la soluzione adottata un anno fa. La stessa riformulazione dell’articolo 116 della Costituzione dà alle Regioni la possibilità di recuperare competenze rilevanti.
Da questo insieme di novità emerge che sono intervenuti cambiamenti reali nel ruolo del Senato.
Sono d’accordo con Scalfari laddove sottolinea che quando sarà il tempo di valutare modifiche all’Italicum, si dovrà intervenire non solo sull’assegnazione del premio di maggioranza ma anche cancellando o limitando al 25-30% i capilista bloccati. Sono questi i due aspetti principali per cui 24 parlamentari del Pd al Senato non votarono quella legge. Resto convinto che ridurre il ruolo dei cittadini nella scelta di chi li rappresenta non sia un buon servizio alla democrazia.
L’autore è senatore del Pd