giovedì 1 ottobre 2015

Repubblica 1.10.15
All’Onu bandiera della Palestina “Ora basta accordi con Israele”
Abu Mazen a New York “Siamo sotto l’occupazione più lunga della storia, non ci sentiamo vincolati”
di Fabio Scuto


RAMALLAH ERANO tante, ma certamente non tutte, le tv nei bar e nei ristoranti della capitale “de facto” della Palestina sintonizzate ieri sera sul discorso del presidente Abu Mazen all’Onu. Solo qualche timido sorriso quando il raìs fa il primo alzabandiera del vessillo palestinese fra quelle che sventolano davanti al Palazzo di Vetro. Il clima di sfiducia e di diffidenza che circonda questa leadership palestinese, inevitabilmente si riflette nell’audience. Il sostegno della piazza è già stato perso da tempo, come ha rivelato l’ultimo sondaggio: il presidente dell’Anp perde consensi all’interno, sente il conflitto israelo-palestinese spinto ai margini dell’attenzione internazionale, viene meno anche il sostegno dei “fratelli” arabi impegnati ora in una lotta mortale col Califfato. Aveva promesso un discorso esplosivo, «una bomba» avevano anticipato i suoi collaboratori nella Muqata. Il discorso di Abu Mazen è stato invece un elenco delle violazioni israeliane nei Territori occupati, e poi «gli insediamenti, la cui espansione rende impossibile la soluzione dei Due Stati». Per questo ha ammonito il presidente «la Palestina è uno Stato sotto occupazione e noi non possiamo continuare a sentirci vincolati da accordi che Israele vìola continuamente; Israele non ci lascia altra scelta: non resteremo l’unica parte impegnata all’attuazione degli accordi» di Oslo, che prevedevano la creazione di uno Stato palestinese e definivano il completo ritiro delle forze militari israeliane entro il 1999. Il presidente ha detto che è «inconcepibile» che la questione dell’autodeterminazione palestinese non sia ancora stata risolta, e ha chiesto alla platea: «Non è tempo che finisca l’occupazione più lunga della storia, che soffoca il nostro popolo?».
Nel suo discorso anche un monito por le politiche di Israele sulla Spianata delle Moschee e le tensioni di queste settimane. Abu Mazen ha accusato Israele di danneggiare i luoghi sacri per l’Islam e per il Cristianesimo e ha invitato il governo a fermarsi «prima che sia tardi». Mezzora più tardi c’è stato il primo alzabandiera palestinese fra quelle che sventolano di fronte al Palazzo di Vetro. È il momento delle lacrime, degli abbracci. E dei sogni. «Un giorno sventolerà su Gerusalemme Est, capitale della Palestina», promette Abu Mazen, attorniato da qualche ospite e i numerosi maggiorenti — 39 — che l’hanno accompagnato a New York, fra loro tre-quattro che pensano di poterlo sostituire in un futuro non molto lontano.
Uno “speech” che lascia molte perplessità, e non solo fra gli avventori seduti da “Darna”, uno dei ristoranti più blasonati di Ramallah bazzicato dalla leadership di Fatah, il partito del presidente. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu — che parlerà oggi all’Onu — l’ha definito «ingannevole, teso a istigare violenza». Abu Mazen non ha preso nessun impegno per riavviare il negoziato di pace, solo la denuncia dei torti subiti. Che evidentemente non basta se l’occupazione della Cisgiordania prosegue da quarant’anni. È il segno che l’autunno del Patriarca è cominciato, consumato in questi 11 anni di presidenza senza un risultato. Lui dice di voler lasciare, 80 anni, qualche acciacco. Ma poi governa con pugno di ferro, quello che non ammette critiche né obiezioni e che ha ristretto il suo “inner circle”, quelli di cui si può davvero fidare, a un pugno.