sabato 17 ottobre 2015

Repubblica 17.10.15
I veri obiettivi dello schiaffo del premier all’Europa
Non si farà assorbire da battaglie anti-Ue nella sua campagna verbale c’è molta attenzione al dato elettorale interno
di Stefano Folli


I PRINCIPALI giornali stranieri hanno accolto con un misto di sorpresa e di scetticismo le frasi brusche e perentorie con cui Matteo Renzi si è rivolto alla Commissione di Bruxelles. Qualcuno ha titolato sulla «sfida del premier italiano all’Europa ».
La sorpresa deriva dal fatto che un attacco così violento è del tutto inusuale per il costume politico italiano. Di qui anche lo scetticismo. La tradizionale linea cattolica e laica della Prima Repubblica ha quasi sempre evitato di portare in piazza i dissensi: quando c’erano, essi si risolvevano con negoziati magari aspri, ma senza incrinare la cornice generale europeista. Ciò che permetteva di salvaguardare la filosofia originaria, ossia la volontà di procedere sia pure a piccoli passi verso forme di integrazione crescente. Non era sempre vero, ma quasi tutti — in fondo anche i francesi — preferivano crederlo.
Oggi Renzi rovescia lo schema e tratta la Commissione alla stregua della Cgil quando Susanna Camusso lo fa irritare. Non accetta le critiche alla legge di stabilità, in particolare sugli sgravi fiscali, e comunica che, se la Commissione non ratificherà il testo, lui glielo rimanderà tale e quale.
Di qui la sorpresa dei giornali, dal “Financial Times” al “Wall Street Journal”. È chiaro che un’Italia schierata contro l’Europa in atteggiamento di sfida sarebbe un evento storico, forse il grimaldello in grado di sradicare l’impianto delle politiche di austerità. Ma per inseguire un simile obiettivo il governo di Roma dovrebbe tessere una politica di alleanze e trovare amici determinati a combattere una battaglia di fondo contro il rigore di ispirazione tedesca. Al momento non sarebbe un’ipotesi realistica, né Renzi ha mai dato l’impressione di volersi mettere alla testa di una crociata che avrebbe qualcosa di distruttivo e velleitario insieme.
È plausibile che, alzando i toni, il premier si proponga di ottenere due risultati molto più a portata di mano. Il primo, rendere credibile la richiesta italiana di un maggiore margine di flessibilità sui conti. Il traguardo minimo sono i tre miliardi per l’immigrazione, ma si punta a una cifra più consistente per rendere praticabile il sentiero tracciato con la legge finanziaria. Chiedere molto, anzi reclamare quel “molto” come un diritto assoluto, per accontentarsi di meno. È una tattica che nel gioco politico quotidiano riesce spesso, bisogna vedere se nell’Europa di oggi ottiene lo stesso successo.
Il secondo risultato è tutto politico ed elettorale. Si tratta di ammiccare al nazionalismo per conquistare una fetta di elettorato che oggi si colloca ancora a destra, fra la Lega e quel che resta di Forza Italia: è un elettorato che negli anni non ha mai nascosto una pulsione anti-europeista, diffidente verso ogni passo che comporta una perdita di “sovranità” a favore dell’entità tecnocratica di Bruxelles. A questo stato d’animo aveva spesso dato voce Berlusconi, nel corso delle sue stagioni al governo. E infatti il capo della destra, pur senza costruire niente di alternativo, aveva infranto il vecchio rapporto italiano con Germania e Francia. Fino ad arrivare ai famosi “sorrisetti” di Angela Merkel e Sarkozy, rivolti al partner italiano a margine di un vertice europeo.
SE ci si limita alle battute e alle frasi a effetto, il sarcasmo e le spallucce di Renzi all’indirizzo della Commissione lo collocano vicino alla posizione (e all’isolamento) di Berlusconi, l’uomo che aveva rotto la continuità della politica europeista dell’Italia. Ma Renzi è astuto e pragmatico. Non si farà vincolare da scelte strategiche estreme che l’Italia non avrebbe il peso politico di reggere nel tempo. E tanto meno si farà assorbire da battaglie ideali e ideologiche contro l’Europa dei “poteri forti”. Nella sua campagna verbale c’è molta attenzione al dato elettorale interno, considerando che Grillo è duramente polemico verso l’Unione e Salvini, al contrario, oggi si è scoperto difensore del patto di stabilità: quello che non piace affatto ai sindaci italiani, in particolare a quelli del Nord.