La Stampa 17.10.15
“Se la Ue boccia la manovra la ripresenteremo uguale”
L’affondo di Renzi: decidiamo noi
Bruxelles: interveniamo secondo i Trattati
di Fabio Martini Marco Zatterin
Era rientrato alle quattro della notte a palazzo Chigi dal vertice europeo di Bruxelles e alle 8,25 Matteo Renzi era già pronto a sparare contro l’Unione europea la più sonora delle bordate mai lanciata da un premier italiano. A proposito di possibili rilievi sulla recente legge di Stabilità, il presidente del Consiglio, intervenendo a Radio 24, è stato diretto: «Bruxelles non è il maestro che fa l’esame, non ha i titoli per intervenire» sulle scelte economiche del governo, «in questi anni c’è stata subalternità psicologica dell’Italia verso gli eurocrati», l’Italia dà ogni anno «9 miliardi netti» alla Ue e dunque la Commissione europea può «consigliare ma non ci deve dire la tassa da tagliare». E invece «ai cittadini interessa il taglio delle tasse, che non sono più... una cosa bellissima». Fin qui un Renzi grosso modo in linea con concetti già espressi, ma al giornalista che ipotizzava il paradosso di una ipotetica bocciatura della manovra da parte di Bruxelles, Renzi ha replicato testualmente: «Se boccia, gliela restituisci, sei uno pari e non cambia niente».
Parole semplici e dure, irrituali per un capo di governo, parole che non sembrano trovare alimento, o spiegazione, in gravi querelles con Bruxelles. Né pubbliche, né sotterranee. In linea di principio il presidente del Consiglio ha le sue ragioni nel rivendicare l’autonomia delle scelte da parte di un qualsiasi governo rispetto alle raccomandazioni della Commissione europea, tanto più se si tratta di un governo che rispetta tutti, nessuno escluso, i parametri fondamentali imposti dai Trattati. E proprio quei parametri sono gli unici “lacciuoli” che vincolano i governi, non certamente le scelte di politica fiscale: se tassare o meno i beni immobiliari, può essere oggetto di una raccomandazione, non di una imposizione. In assenza di un dossier controverso con Bruxelles, la “sparata” di Renzi può avere anche una lettura diversa, legata alla “campagna permanente” che vede impegnato il presidente del Consiglio nella conquista del consenso, spesso alimentando il conflitto contro qualche nemico e indirizzando l’opinione pubblica di volta in volta contro i gufi o, in questo caso, contro gli eurocrati di Bruxelles.
La strategia
E’ una strategia che può agitare le acque europee in cui, come prescrivono i Trattati, naviga la legge di bilancio della svolta promessa. Nella capitale Ue non si registrano pregiudizi nei confronti di Roma che, anzi, è stata lodata come modello virtuoso per il suo cantiere affollato di riforme e per il deficit sotto il 3% del pil anche in tempi di crisi. Secondo un alto funzionario siamo in una situazione «in cui l’Italia deve aiutare l’Europa d aiutarla». In altre parole, prima di ragionare sul da farsi in caso di bocciatura, potrebbe risultare più utile creare le condizioni perché la Commissione arrivi laddove ha ogni interesse di arrivare, cioè a promuovere il budget. Respingere l’Italia costringere a fare altrettanto con Spagna e Francia. Sarebbe un terremoto impossibile da digerire per la fragile Europa.
«Esiste una chiara base legale che ci consente di valutare le leggi di bilancio, è il Patto di stabilità, con il Two Pack e il Six pack», ha detto ieri un portavoce del Team Juncker. Vogliono esaminare i numeri, capire le misure e vedere come mai Roma ha deciso di cambiare impegni già presi, facendo ad esempio slittare il pareggio al 2018 rispetto al 2017 pattuito. Gli stati hanno pattuito di coordinarsi, per evitare che se un paese dovesse sbandare, gli altri ne debbano sostenere le conseguenze.
Sfidare i Trattati non aiuta a farsi aiutare. Senza contare che il presidente Juncker e il vice Dombrovskis sono stati premier e non gradiscono essere chiamati «eurocrati», soprattutto quando la Commissione mostra chiari segni di essere più «politica» che «tecnica». Il lussemburghese intende parlare con Renzi. Vuole capire dove va la manovra e vedere se gli riuscirà di promuoverla come auspicherebbe. In caso contrario, cioè se il clima restasse teso, l’Itali rischierebbe. Col passivo storico oltre il 130% del pil, il pareggio rinviato, gli obiettivi riscritti, non sarebbe difficile per Bruxelles fare uno sgambetto al governo, magari con una procedura di debito eccessivo. I trattati, se applicati da «veri eurocrati», gliene darebbero pieno titolo.