Corriere 17.5.15
Jared Diamond
«Rischio estinzione, l’unica via è ridurre i consumi»
intervista di Paolo Valentino
ROMA Jared Diamond non è un ottimista, quanto alle sorti dell’umanità. Intorno a sé vede un pianeta in corsa verso la catastrofe, una civiltà a rischio di estinzione in meno di una generazione. L’autore di «Armi, acciaio e malattie», la controversa storia del mondo che nel 1997 gli valse il Premio Pulitzer, ne ha parlato ieri sera a Milano, nell’appuntamento conclusivo del ciclo di conferenze organizzato da Intesa Sanpaolo in margine a Expo 2015. Due sono le ossessioni di Diamond, che insegna geografia alla University of California at Los Angeles: la sostenibilità ambientale e il divario crescente tra ricchi e poveri sia all’interno delle nazioni che fra di esse.
«Sono convinto che se non cambieremo i nostri stili di vita e il modo in cui usiamo, o meglio sprechiamo le risorse, la civiltà umana andrà incontro all’estinzione, cioè alla fine della vivibilità della Terra. Non nel lungo periodo, ma entro i prossimi trent’anni, cioè all’interno dell’arco di vita dei nostri figli. Parlo della riduzione drammatica delle riserve di acqua potabile, di pesci e cibo marino, della biodiversità, del suolo fertile, delle materie energetiche».
Ci saranno guerre per l’acqua, professore?
«La scarsità dell’acqua è già una questione di oggi: abbiamo visto in Europa un conflitto tra l’Ungheria e la Slovacchia, nell’Asia sudorientale l’acqua dell’altopiano tibetano viene trattenuta da nuove dighe che riducono la capacità dei fiumi Mekong, Gange e Bramaputra, creando forti tensioni tra Cina, Vietnam, Laos, Cambogia, Thailandia. Credo che sì, in futuro possiamo attenderci guerre per l’acqua in quella regione».
La tecnologia non può aiutarci a risolvere questi problemi?
«Diffido di coloro che confidano sul potere della tecnologia. Sperimentare col clima è molto rischioso, anzi pericoloso».
Quindi non c’è una soluzione?
«C’è, ma non è tecnologica. L’unica soluzione è la riduzione dei consumi».
La globalizzazione aiuta o rende più difficile questo obiettivo?
«Entrambi. La globalizzazione per esempio favorisce gli scambi di informazioni tra i Paesi o le azioni congiunte e coordinate. Ma allo stesso tempo permette a tutti di vedere quali sono i divari di consumo tra Paesi ricchi e Paesi poveri e questo rende la situazione insostenibile».
La sostenibilità del pianeta e le crescenti disuguaglianze sono per lei temi intrecciati.
«Certo, si sovrappongono».
Parliamo di quelle all’interno dei Paesi.
«Io vedo cosa succede nel mio di Paese e penso che il crescente divario tra ricchi e poveri rischia di diventare una minaccia per la democrazia americana. Più esattamente, la disuguaglianza minaccia la fabbrica sociale, perché determina una rottura del compromesso politico negli Stati Uniti».
Vuol dire che non esiste più il sogno americano, la possibilità per chiunque, lavorando duramente e rispettando le regole, di poter risalire la scala sociale sulla base del merito?
«Esiste il mito ed esistono molti esempi. Ma se calcoliamo la correlazione tra il reddito dei padri e quello dei figli, quella degli Usa è diventata la più stretta del mondo. Restano il mito e alcuni esempi personali celebri, ma la realtà è un’altra cosa».
Parlando della disuguaglianza tra le nazioni, cosa la preoccupa?
«Porta con sé conseguenze gravi: le malattie, che senza soldi e risorse non possono essere debellate e in un mondo globalizzato finiscono poi per diffondersi anche ai Paesi ricchi, come abbiamo visto con Ebola. Poi l’immigrazione economica: la gente dei Paesi più poveri soffre, vede, sente e non vuole più aspettare cinquant’anni prima di uscire dalla miseria in Africa o in Medio Oriente. E infine il terrorismo: le persone che hanno perso ogni speranza o diventano terroristi o sostengono il terrorismo».
Ma nel terrorismo non c’è anche una dimensione ideologica e religiosa?
«Il fanatismo religioso non è l’unica causa del terrorismo. I fanatici ci sono dappertutto, anche in America».