sabato 17 ottobre 2015

Repubblica 17.10.15
Pattuglie e istruttori ecco i compiti dei nostri 750 soldati
di Giampaolo Cadalanu


CONTRORDINE, non si parte più. L’amministrazione Obama ha pronunciato ad alta voce le parole che tutti sussurravano, chiarendo che l’Afghanistan è tutt’altro che pacificato. E l’Italia si avvia a fare la sua parte, sia pure a velocità ridotta rispetto ai momenti di grande impegno. Fra Camp Arena a Herat e il quartier generale occidentale a Kabul, i militari italiani sono circa 750, e tanti resteranno nel 2016. Sembra da escludere ogni possibilità di aumentare questo livello. Sarà dunque un contingente ridotto, con compiti limitati, anche perché gli “assetti” preziosi, dai caccia Amx ai droni da sorveglianza Predator, sono già rientrati in Italia. Resta qualche elicottero, e aerei da trasporto. Un esperto sintetizza: la presenza italiana avrà soprattutto un ruolo simbolico, anche perché è difficile immaginare che ai soldati rimasti siano affidati compiti diversi da qualche pattugliamento. Rimarranno in Afghanistan soprattutto uomini dell’Esercito e Carabinieri, e probabilmente un contingente di truppe speciali, in particolare uomini della Task Force 45.
Agli Stati maggiori rassicurano: la permanenza in Afghanistan per un altro anno sarà un peso per le tasche del contribuente, ma gran parte della spesa andrà in stipendi e indennità di missione, e quindi ritornerà in patria. Quanto all’ipotesi di “over-stretching”, cioè di eccessivo sfruttamento delle risorse umane, la Difesa è sicura: le forze italiane hanno visto impegni molto più gravosi.
La risposta all’appello della Casa Bianca non dovrebbe nemmeno compromettere il ruolo italiano nella missione europea in Libia, per ora nella fase 2. La fase 3 di Eunavfor Med (la missione prenderà presto il nome di Sophia, dalla bambina partorita a bordo di una nave tedesca da una madre migrante), che prevede l’arrivo in acque libiche e la possibilità di sbarchi sulla terraferma, non sembra vicina: serve una risoluzione del Consiglio di Sicurezza o un invito delle autorità libiche, e il disaccordo diplomatico fra Russia e Usa per la missione in Siria potrebbe ritardare un’intesa sulla Libia in sede Onu. Anche la possibilità di una richiesta di Tripoli per ora non appare prossima, nonostante i primi passi avanti verso un governo di unità nazionale. Se il “via libera” per la fase 3 si fa attendere, al momento lo sforzo fondamentale italiano è limitato alla Marina, che poco risente di nuovi impegni in Afghanistan. Fra quartier generale di Centocelle e nave Cavour, schiera 680 uomini.
Fuori dai confini, il contingente più robusto è in Libano (1100, fra campo di Shama e quartier generale Unifil a Naqura), oltre a una ventina di addestratori delle forze libiche della missione Milib. In Kosovo ne sono rimasti 550. Significativa è invece la presenza in Iraq: 220 istruttori sono in Kurdistan per addestrare i peshmerga, a Bagdad ci sono 30 uomini e altri 270 sono a disposizione dell’Aeronautica in Kuwait. Contingenti più ridotti sono schierati a Mogadiscio (100 uomini), a Gibuti (altrettanti), sulla nave Libeccio in pattugliamento antipirateria nelle acque somale (220). Il contributo alla missione Active Endeavour nel Mediterraneo impegna 170 persone sulla nave Aliseo, 750 sono imbarcati su 4 navi di “Mare sicuro”, altri contingenti molto ridotti sono a Cipro, nel Mali, a Sharm el-Sheikh e nei territori palestinesi. Ma il compito fondamentale è quello sul territorio nazionale: 6500 militari sono schierati in “Strade sicure”, cornice che comprende anche l’impegno di garantire la sicurezza dell’Expo e quello per impedire contaminazioni nella “Terra dei fuochi”.