La Stampa 17.10.1
Un’altra talpa sfida Washington
La “Wikileaks dei droni”
rivela il flop degli omicidi mirati
di Paolo Mastrolilli
C’è un nuovo Snowden, e sta rivelando i segreti del programma americano per usare i droni contro il terrorismo. Informazioni imbarazzanti, come quella secondo cui l’intelligence usata per individuare gli obiettivi è scarsa, al punto che quasi il 90% delle vittime degli attacchi lanciati nella zona nord orientale dell’Afghanistan fra il 2012 e il 2013 non erano i target prescelti. Errori, in altre parole.
I documenti sono stati pubblicati dal sito Intercept, fondato da Glenn Greenwald, cioé l’ex giornalista del Guardian che aveva raccolto le confidenze di Edward Snowden. L’ex agente della National Security Agency, però, è in esilio a Mosca, e non sarebbe la misteriosa fonte anonima di queste nuove rivelazioni. I «leaks» arriverebbero invece da un altro membro della comunità dell’intelligence, che giudica sbagliato il programma dei droni e ritiene necessario farlo conoscere al pubblico.
Le carte di Intercept, fra cui lo studio condotto nel 2013 dall’Intelligence, Surveillance and Reconnaissance Task Force, sono molto dettagliate. Rivelano la catena di comando; le regioni delle operazioni, in cui è coinvolta anche l’Italia; i meccanismi per l’individuazione degli obietti e gli attacchi; i risultati.
Il programma è diviso fra Cia e Pentagono, e questo provoca frequenti attriti. Gli obiettivi vengono individuati dall’intelligence, che raccoglie le informazioni su schede come le figurine del baseball. Questi target poi finiscono sulla scrivania dal presidente Obama, che impiega in media 58 giorni per autorizzarli o negarli. Se la sua riposta è positiva, gli operatori dei droni hanno 60 giorni per colpire gli obiettivi.
I target vengono cercati soprattutto attraverso la «sigint», cioé l’intelligence raccolta con la sorveglianza elettronica di telefoni e computer. Questo processo si chiama «find, fix, finish». Le SIM card dei terroristi vengono collegate con dei codici ai droni, che da quel momento in poi li seguono passo passo, come è successo col cittadino britannico Bilal el-Berjawi, ucciso in Somalia dopo aver chiamato la moglie che aveva appena partorito. «I target - ha detto la fonte a Intercept - sono considerate persone senza umanità e senza diritti».
Gli attacchi in Africa e nello Yemen, gestiti dalla task force TF 48-4, partono dalle navi e da tre basi, una a Gibuti, una in Etiopia ad Arba Minch, e una in Kenya. Quelli in Afghanistan invece decollano dalle basi locali. Una cartina pubblicata da Intercept mostra anche il raggio d’azione per il transito dalle basi Nato/Usa, e si vede Sigonella, da dove partono le missioni per la sorveglianza su Libia, Algeria e Tunisia.
Tra il 2011 e il 2015 in Somalia e Yemen sono avvenuti 178 attacchi, di cui 56 nel biennio 2011-2012 che hanno fatto 293 morti. La contabilità in Afghanistan è più alta. Durante l’operazione Haymaker, lanciata fra il gennaio del 2012 e il febbraio del 2013, i raid hanno ucciso oltre 200 persone, ma solo 35 erano i terroristi davvero presi di mira.