venerdì 16 ottobre 2015

Repubblica 16.10.15
Un Italicum alla francese
di Stefano Folli


C’È una riforma molto adatta all’Italia di oggi, ormai incamminata sulla via del rinnovamento istituzionale fondato su una sola Camera. Ma non è all’ordine del giorno e con ogni probabilità non lo sarà nel futuro prevedibile. Si tratterebbe di trapiantare a Roma il sistema elettorale francese in luogo di un Italicum che per varie ragioni si sta rivelando il vestito sbagliato prima ancora di dare prova di sé. Il modello francese rinsalda il rapporto fra elettore ed eletto nei collegi uninominali.
I CITTADINI conoscono il volto e i titoli dei candidati al Parlamento e si regolano di conseguenza. Inoltre, se nessuno ottiene la maggioranza assoluta al primo turno, si creano patti e alleanze che pesano nel ballottaggio, decidendo la contesa. Di questo sistema si è discusso per anni senza venire a capo di nulla e alla fine si è optato, come si sa, per l’attuale legge ancora inapplicata. L’argomento a favore dell’Italicum fu che il centrodestra berlusconiano non avrebbe mai appoggiato l’ipotesi francese per ostilità dichiarata verso il doppio turno. Nel frattempo quel centrodestra si è frantumato, ma il copione non è mutato e l’Italicum ha avuto il “sì” del Parlamento nel segno di un notevole premio al partito che supera il 40 per cento ovvero vince il ballottaggio con una lista- partito concorrente. È noto peraltro che adesso un largo arcipelago di forze chiede di assegnare il premio alla coalizione anziché al partito. Tanto che lo stesso Renzi, che pure giudica un “capolavoro” il suo Italicum, si tiene la carta nella manica, pronto a usarla o meno a seconda delle convenienze (ossia la probabilità di aggiudicarsi il 40 per cento in prima battuta, come accadde nel voto europeo). In ogni caso il ritocco non cambierebbe la logica profonda di uno schema in cui il numero di parlamentari “nominati” e non eletti sarebbe comunque esorbitante. Il che rischia di ridurre o vanificare il potere di controllo sull’esecutivo esercitato dal Parlamento monocamerale. Viceversa il modello francese, magari corretto per dare rappresentanza (il cosiddetto “ diritto di tribuna”) alle formazioni più piccole, risolve molti dei limiti dell’Italicum: è maggioritario, favorisce il bipolarismo, rimette al centro il cittadino elettore ed è concepito per frenare i movimenti estremisti o populisti. Come accade di solito in Francia: lo sanno bene i Le Pen padre e figlia.
D’ora in poi, è stato notato, il problema di Renzi sarà sconfiggere il movimento Cinque Stelle, probabile suo competitore nelle elezioni politiche, 2017 o 2018 fa poca differenza. L’attuale Italicum offre scarse garanzie al riguardo, salvo il caso — è ovvio — di una vittoria del “partito del premier” al primo turno, quindi con il 40 per cento. Negli altri scenari, il candidato grillino, specie se fosse un personaggio sobrio come il giovane Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera, potrebbe raccogliere il consenso di tutti coloro che per un verso o per l’altro sono contro il governo o vogliono esprimere un malessere. Servirebbe come antidoto correggere la legge per dare il premio a una coalizione invece che al solo partito renziano? Non è certo. Riunire al secondo turno i gruppi di Alfano, Verdini, Tosi, ma forse anche Vendola e altri, rischia di essere complicato e soprattutto controproducente. Il pericolo sarebbe quello di aggregare molto ceto politico e pochi voti. L’opposto del concorrente, i cui argomenti anti-casta verrebbero rafforzati e che vedrebbe incoraggiata la coalizione degli elettori scontenti, contrapposta alla coalizione dei partiti e dei “nominati”.
In altre parole, l’Italicum, sia pure modificato come si progetta, potrebbe rivelarsi insufficiente per avere ragione di un’alleanza populista. Laddove il modello francese, unito a un coerente rafforzamento dei poteri del premier, potrebbe rimescolare le carte collegio per collegio, restituendo realmente lo scettro al popolo. Non sappiamo se fosse questo lo scenario adombrato da Giorgio Napolitano nel suo intervento in Senato, ma il presidente emerito si è posto come nessun altro il problema dell’equilibrio complessivo del sistema.