giovedì 15 ottobre 2015

Repubblica 15.10.15
Maggioranza liquida
di Cludio Tito


SE si guardassero solo le percentuali elettorali, il terremoto che sta investendo Ncd sarebbe derubricato a scossa impercettibile.
SE INVECE si prendono in considerazione il numero di senatori iscritti al partito di Alfano e soprattutto il margine su cui si tiene la maggioranza “ufficiale” di governo in quel ramo del Parlamento, allora il sommovimento supera le soglie di allarme.
Il punto è molto semplice: con sette senatori in meno, l’esecutivo è più debole. E questo avviene alla vigilia di alcuni voti importanti a Palazzo Madama, come la Legge di Stabilità e le Unioni civili. Intendiamoci: non esiste un’emergenza immediata per Renzi. L’addio di Quagliariello non è in grado di mettere in crisi il governo. Però ne evidenzia alcuni limiti. E soprattutto mette in mostra come la sua coalizione stia subendo una sorta di plastica ricostruttiva, di ritocco genetico. Certo, tutti sanno che la squadra renziana ha preso forma in un momento di emergenza. È il frutto di un pareggio elettorale. Non provocato dall’allora sindaco di Firenze. La maggioranza, però, sembra adesso più “liquida”. Incapace di fissare i suoi limiti esterni. Perché se è vero che non si vede nel breve periodo il rischio di una crisi, è altrettanto vero che i numeri del Senato restano sufficienti per l’apporto di alcuni ex forzisti, di ex grillini, di ex vendoliani e dalla costante adesione del nuovo gruppo di Verdini. Senza queste stampelle, il premier dovrebbe sì riprendere in mano il pallottoliere e ricominciare a fare i conti.
Ma questo è solo l’effetto. La causa, o meglio le cause sono altre. E riguardano il “destino” di un’area politica. Quelli che alternativamente si definiscono centristi o moderati sono senza un futuro. Per venti anni sono saliti sul treno berlusconiano che ospitava un po’ tutti senza distinzioni. Adesso quel convoglio non c’è più. A destra sono schiacciati dal radicalismo della Lega e dal neopopulismo del Movimento 5Stelle. A sinistra c’è solo il Pd. Quel mondo centrista non riesce a trovare un vagone su cui salire. Non è in grado di assegnare un soffio vitale alla propria anima. Sanno che quel che rimane del loro elettorato, è pronto ad appoggiare il governo Renzi ora, ma non a votare il Partito Democratico poi. Nello stesso tempo sono consapevoli che il premier — ed è per questo che non gli ritirano la fiducia — ha una enorme capacità attrattiva nei confronti dei loro sostenitori e che l’ipotesi del Partito della Nazione sarebbe una calamita irresistibile. E, come sta accadendo nella discussione sulle Unioni civili, si sentono privati della loro ragione sociale. Costretti a fare l’eco delle voci più conservatrici del mondo cattolico e a trarne le conseguenze senza alcun profitto politico.
Il tutto poi viene amplificato dalla legge elettorale, l’Italicum. È evidente che il premio alla lista e non alla coalizione li costringe a delle scelte che non vorrebbero fare. E soprattutto a non avere alcuna garanzia sul loro futuro. Non sanno in sostanza se la loro prossima corsa elettorale possa assicurare almeno una minima presenza in Parlamento o meno. Chi si sente meno sicuro, tenta di correre ai ripari. Magari a mettere una toppa che però rende ancora più grande il buco.
Il prossimo anno, allora, i rapporti dentro questa maggioranza “liquida” saranno orientati proprio dalla riforma elettorale. Quel gruppone senza forma e senza guida che si allea strutturalmente e/o occasionalmente con il Pd proverà a minacciare il presidente del consiglio. Nella speranza che accetti di modificare la sua creatura. Di introdurre il premio alla coalizione: l’unico strumento che consente di dare loro una prospettiva, a presentarsi alle urne con un proprio partito. Piccolo, ma autonomo. Per questo le prossime amministrative di primavera — quelle in cui si vota anche per il Sindaco di Roma — saranno anche un test per il governo. Si capirà se il premier è in grado di vincere con l’Italicum o se la repulsione demagogica incarnata dal M5S sarà troppo vigorosa per non fare retromarcia.