Repubblica 11.10.15
Alfonso Sabella, l’assessore alla Legalità:
“Nessuno me l’ha chiesto, porrei delle condizioni per i controlli sugli appalti e le concessioni”
“Io commissario nella Capitale? Sono disposto a farlo”
intervista di Mauro Favale
Alfonso Sabella, magistrato, è entrato nella giunta del sindaco Ignazio Marino con l’incarico di assessore alla Legalità
ROMA «È stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati». Alfonso Sabella cita Fabrizio De Andrè per parlare del suo rapporto «breve ma intenso» con la politica. «Sapevo che la mia era un’avventura a tempo», spiega l’assessore alla Legalità del Campidoglio, magistrato in aspettativa. «A dicembre, quando arrivai, pensavo di lasciare dopo l’estate».
E invece potrebbe essere lei, in qualità di commissario, a traghettare Roma fino alle prossime elezioni.
«È un’ipotesi che mi spaventa, conoscendo la complessità della situazione. Detto ciò, nessuno me l’ha chiesto».
E se glielo chiedessero?
«Porrei delle condizioni che riguardano la macchina amministrativa».
Quella stessa burocrazia capitolina che lei ha più volte definito «corrotta o incapace»?
«È vero ma devo fare una piccola retromarcia. Ho avuto modo di conoscere dirigenti e funzionari molto capaci. Il problema è che non sono tanti».
Si dice che in Campidoglio ci siano dei dirigenti che “remano contro”, che boicottano gli atti che preparano. Le risulta?
«Non so se lo fanno con dolo o se si tratta di incapacità. Certo c’è un profilo di colpa. Non è un caso se fino a qualche mese fa quando si arrivava al Tar il Comune quasi sempre perdeva. Ora si vince quasi sempre».
Da commissario avrebbe il potere di rimuovere i dirigenti non all’altezza?
«No. Però avrei il potere di affiancare loro dirigenti di altre amministrazioni per supportarli, per fare quello che non si è fatto finora, per bandire tutte le gare, per evitare le proroghe, per assegnare le concessioni balneari e degli impianti sportivi».
Sembra un programma “da commissario”.
«È il progetto di ripristino della legalità che mi sono dato quando sono arrivato in Campidoglio».
Immaginava che sarebbe finita così, per poche cena da 120 euro?
«No e per la rabbia ho anche pianto. Avevamo intrapreso un percorso giusto, con una giunta di grande qualità. Lascio il mio posto da assessore con la morte nel cuore».
Di Marino cosa le resta?
«A Ignazio voglio un bene dell’anima, mi sono affezionato a lui. Ha affrontato grandi sfide, dalla chiusura di Malagrotta ai bilanci approvati nei termini di legge, alla trasparenza».
Errori?
«Di comunicazione e di leggerezza, come sulla vicenda degli scontrini. Un fatto che però rende la mia presenza in giunta incompatibile. Non posso stare in una squadra sulla quale pende lo spettro di un’imputazione per peculato e falso».
Al momento non ci sono iscritti nel registro degli indagati.
«No, ma quel fascicolo non tarderà ad essere trasformato. E l’iscrizione è un atto dovuto che consentirà a Marino di difendersi. È scivolato su facilonerie e per pressappochismo».
In questi mesi ha avvertito il “lavorio dei poteri forti” contro la giunta, come ha denunciato Marino?
«Per mia natura non credo ai complotti ma c’è stata un’aggressione mediatica senza precedenti contro Marino. E solo un bambino non si accorgerebbe che in questo contesto, i “cattivi” che Ignazio stava cercando di cacciare via si sono inseriti e hanno fomentato questa attenzione sul sindaco».