domenica 11 ottobre 2015

La Stampa 11.10.15
Ma adesso Roma non può fermarsi
di Marco Rossi-Doria


Caro Direttore,
il sindaco Ignazio Marino si è dimesso. L’interruzione di un tentativo serio di riparazione, nell’Italia di oggi, è una scacco per tutti. E chiama a un’analisi rigorosa da un lato delle molte forze esterne che hanno remato violentemente contro e, dall’altro, delle fragilità che, interne, hanno tolto forza a questo slancio. Ci vorrà tempo, impietosa onestà intellettuale e politica e generosa pacatezza per capire cosa è successo e i molti perché che hanno impedito a una spinta innovativa - avversata da mafie, da molti potentati legati a interessi particolari e anche da posizioni di rendita più diffuse - di tenere aperto il cantiere dell’innovazione e della ricostruzione funzionale e civile della capitale e più grande città d’Italia.
Ero stato chiamato a fare l’assessore a Scuola, lavoro, formazione professionale, giovani e alle periferie - un largo cantiere che interroga ogni momento su cosa e come fare intorno ad opzioni decisive per la cura educativa dei piccoli, lo sviluppo locale, l’apprendimento diffuso, la coesione, l’innovazione sociale.
Ora guardo alle brevi settimane di questa esperienza con un’acuta preoccupazione per le cose avviate e che chiunque governerà Roma dovrà seguire con dedizione se ha a cuore la vita concreta dei cittadini. Le maestre delle 326 scuole d’infanzia e le educatrici dei 206 nidi comunali avranno la stabilità del lavoro secondo le procedure appena avviate e potranno così garantire servizi più solidi per i bimbi? Si potrà consolidare il sacrosanto criterio di usare le risorse ordinarie degli assessorati per alcune priorità documentate e condivise mettendo tutto a bando e facendo valutare i risultati da esperti esterni anziché darle in affidamento incontrollato e spargendoli in mille rivoli? Si daranno le «gambe operative» appena immaginate per usare i fondi europei che vanno impegnati adesso e che - decidendo insieme Regione Lazio e Roma - si possono dedicare a ulteriori servizi educativi, ai ragazzi e alle donne di periferia che riprendono ad apprendere nell’aprirsi un’attività di auto-impiego, alla scolarizzazione dei bambini rom, a dare un nuovo volto alla formazione professionale in un tempo in cui cambiano mestieri e mercati, a sostenere o aprire centri culturali e spazi ora in disuso dove gruppi di cittadini già all’opera possano consolidare attività comunitarie nei quartieri dell’emarginazione e delle nuove povertà e solitudini?
Oggi è il momento di dare una continuità alle cose buone. Perché Roma - ancor più a poche settimane dall’avvio del Giubileo - non può fermarsi. Ed è forse anche il tempo - un po’ lo sogno - perché cittadini, partiti e anche media, sappiano affiancare i discorsi sui candidati futuri a un dibattito finalmente sensato, magari con l’uso di argomenti ben istruiti e guardando ai vincoli delle leggi e dei fondi disponibili - come si fa a New York, a Londra, a Parigi - sui grandi temi del vivere in città: il cambiamento sui rifiuti, il ferro anziché la gomma per i trasporti, il cosa può dare slancio alle agenzie che puliscono la città, il come rigenerare i servizi per l’infanzia e sostenere le autonomie scolastiche, il come creare aggregazione e sostenere attese nelle decine di «centri» che costituiscono una grande capitale.
Roma ha immense competenze e grandi tradizioni di attivazione civica. Nel girare per scuole, caseggiati, mercati, luoghi della determinazione pubblica, a partire dai Municipi, nel parlare con le associazioni diffuse ovunque, con gli esperti dei diversi campi, con imprenditori e sindacati ho visto esprimersi con costanza un’emergenza, raccontata spesso in prima persona plurale. La riporto così: «noi che sappiamo fare le cose, che le facciamo ogni giorno sul campo, nelle difficoltà dell’artigianato fattivo, dobbiamo potere contare di più nelle decisioni in modo che queste ci aiutino a fare».
È questo il tema che unisce i temi, il tema cruciale. La politica ridiventerà tale - rivolgendo di nuovo lo sguardo via da se stessa e nuovamente alla polis - se imparerà la fatica del metodo centrato sul pensare e decidere le cose della città - a Roma come ovunque - insieme a chi quelle cose le fa ogni santo giorno.
Ora ci sarà una transizione, poi un’elezione. L’una e l’altra possono essere affrontate in modi molto diversi. Se si parla di cosa serve alle persone, se si danno continuità alle opere che servono è meglio, molto meglio.