sabato 10 ottobre 2015

Repubblica 10.10.15
Mezzi, armi e militari così Roma si prepara a guidare la missione
Si attende un segnale da Tripoli, ma è ancora un’intesa fragile
di Alberto D’Argenio


ROMA . Ora che c’è un accordo preliminare sulla formazione di un esecutivo di unità nazionale in Libia, l’Italia, come confermava ieri il ministro Paolo Gentiloni, «è pronta a fare la sua parte rispondendo positivamente alle richieste del nuovo governo libico ».
Il come tra Palazzo Chigi, Farnesina e Difesa è già chiaro: è più di un anno che Roma aspettava la formazione del nuovo governo per sbloccare la situazione. Eppure c’è grande cautela, l’accordo annunciato da Bernardino Leon è solo il primo passo e altri passaggi, non certo facili, devono arrivare.
A Roma, ad esempio, nei prossimi giorni ci si aspetta turbolenze sul terreno ma soprattutto si teme che il Gnc di Tripoli all’ultimo possa sfilarsi dall’intesa. E anche se tutto andasse al meglio perché il governo entri in funzione serviranno almeno un paio di mesi, tempi lunghi che lasceranno la situazione costantemente appesa ad un filo.
Nel caso tutto naufragasse, cosa che ovviamente in Europa nessuno si augura, l’Italia sarebbe pronta alla mossa a sorpresa: chiedere l’estensione alla Libia della missione anti-Is che opera in Iraq e imporre, senza alcuna richiesta da parte di Tripoli, la terza fase della missione navale Ue Eunavformed (che ora opera in acque internazionali) alle coste libiche, con raid a terra per sgominare i trafficanti di uomini. «E’ l’ultima carta - spiega una fonte di governo impegnata sul dossier - che giocheremmo solo se salta tutto, non si riesce più a riannodare un dialogo politico e il Paese sprofonda nella guerra tra le diverse fazioni e Daesh».
Ora però ci si concentra sui prossimi giorni, non si pensa al peggio ma si ragiona su uno scenario positivo. Ieri le telefonate tra Cancellerie e ministeri degli Esteri di mezzo mondo avevano lo scopo di trovare il modo di aiutare - o spingere - le differenti parti libiche ad andare avanti sulla strada tracciata da Leon. Se il processo avrà esito positivo, a cavallo di Natale lo scacchiere si muoverà. Il governo italiano si aspetta che una volta insediato il nuovo esecutivo libico chieda aiuto alla comunità internazionale. E Roma è pronta a prendere la leadership politica del processo e la guida di una missione autorizzata dall’Onu - dove al momento Cina e Russia sono favorevoli - che coinvolga paesi arabi, africani ed europei. Si pensa ad una spedizione, che partirebbe nel 2016, di “institution building” e di sostegno alle nuove autorità libiche nel controllo del territorio. Per avere il comando l’Italia dovrà mobilitare un numero significativo di uomini e mezzi (al momento nessun Paese si oppone alla possibile leadership di Roma). Carabinieri, militari e personale civile per aiutare la ricostruzione, materiale e non, delle istituzioni, addestrare le forze di polizia locali, aiutare con le armi le fazioni al governo a tenere il controllo di Tripoli e delle zone più difficili del Paese. Non una missione di guerra, ma pur sempre una spedizione pericolosa, un mix tra Libano e Afghanistan.
Ci si aspetta anche che il nuovo governo chieda aiuto nel controllare le coste, e dunque anche in questo caso l’attivazione della terza fase della missione navale Ue (ieri l’Onu ha dato il via libera alla seconda, in acque internazionali). Si teme però che i libici autorizzino solo ad incrociare nel loro mare, ma non a fare raid sulle spiagge e nei porti. A quel punto gli europei ci starebbero comunque, pur dovendo rinunciare alle incursioni militari per stanare a terra i trafficanti di esseri umani, sequestrare le loro navi e salvare i migranti, accetterebbero di pattugliare le loro acque rendendo più efficace la missione Sofia, come è stata ribattezzata dal nome di una bambina recuperata in mare da un natante di Eunavformed.