mercoledì 7 ottobre 2015

La Stampa TuttoScienze 7.10.15
Dopo il Dna, l’ora dei neuroni
In tribunale cambierà tutto?
All’Università di Padova un memorandum interdisciplinare
di Nicla Panciera


L’applicazione delle neuroscienze cognitive al sistema legale è uno dei temi caldi del momento, seguito da scienziati, giuristi, filosofi e giornalisti. Se in ambito forense è prassi acquisire nel corso delle indagini prove dell’incapacità fisica di un individuo a compiere un certo gesto, tutto si complica quando si deve stabilire l’incapacità mentale: cos’è davvero la mente?
Anche in ambito legale non si possono ignorare le scoperte sui neuroni e sui processi cerebrali rese possibili dal neuroimaging. La mappa neurale della mente resta però incompleta e questo limite genera delle perplessità su come risultati spesso difficilmente interpretabili dagli stessi scienziati possano influire sulle valutazioni di tipo forense. Ecco perché un gruppo di ricercatori ha redatto un memorandum che verrà approvato il 9 ottobre al convegno «Attualità, prospettive e limiti delle neuroscienze forensi», organizzato all’Università di Padova. Uno dei promotori è l’avvocato Guglielmo Gulotta, docente di psicologia giuridica all’Università di Torino, che fu legale di Stefania Albertani nel celebre caso di Como, il primo in Italia dove le neuroscienze furono protagoniste. La donna ebbe una riduzione di pena grazie alla perizia psichiatrica dei professori Pietro Pietrini e Giovanni Sartori, entrambi firmatari del «Memorandum Patavinum», i quali si basarono su analisi genetiche e neuroscientifiche. «Ci hanno rimproverato di aver fatto ricorso a queste tecniche, quando sarebbero stati sufficienti i metodi di valutazione neuropsichiatrica e neuropsicologica standard, per promuoverne l’accettazione e introdurne gradualmente l’uso in tribunale - dice Gulotta, che precisa -: questi esami non sono sostitutivi dei test tradizionali ma possono corroborarne i risultati». E comunque «vogliamo negare ad un assistito il diritto di ricorrere ad un elettroencefalogramma?».
Alcune resistenze riguardano il modo in cui il concetto di responsabilità e libero arbitrio possano venire alterati dalle conoscenze sul cervello. Anche quando le neuroimmagini confermano un’alterata funzionalità del lobo frontale, sede di processi cognitivi e decisionali, cosa significa in termini di punizione e colpevolezza? E le lesioni cerebrali di un alcolista o di un paziente sottoposto a radioterapia encefalica cosa ci dicono sulla capacità decisionale e di controllo degli impulsi?
I criteri per stabilire il malfunzionamento di un’area, con o senza malformazioni cerebrali, e le conseguenze di ciò sul comportamento non sono ancora del tutto chiari. «Non è facile stabilire un limite tra normale e patologico», ribatte Piergiorgio Strata, professore emerito di neurofisiologia all’Università di Torino, che non ha firmato il memorandum e che suggerisce che, per il momento, sarebbe più giusto continuare a basarsi sulla «gravità del reato, sul pericolo che l’individuo rappresenta e sulle possibilità di riabilitazione».
Forse i tempi non sono maturi e le nuove conoscenze sul cervello «non sono ancora in grado - ha scritto la Royal Society - di rivoluzionare le procedure penali». Come si legge nel memorandum, «le neuroscienze possono aprire un utile ma non autonomo contributo, dovendo interagire con altre discipline»: biologiche, psicologiche e sociologiche.