venerdì 9 ottobre 2015

La Stampa 9.10.15
Le donne dell’Armata Rossa
Storie di eroine dimenticate
un estratto dal libro “La guerra non ha un volto di donna”
di Svetlana Aleksievich


Sto andando a Mosca… Quel che so di Nina Jakovlevna Vishnevskaja è costituito per ora dalle poche righe del mio quaderno di appunti a lei dedicate: a diciassette anni è andata al fronte, ha prestato servizio come istruttrice sanitaria nel 1° battaglione della 32ª brigata corazzata della 5ª armata.
Jakovlevna Vishnevskaja ha partecipato alla famosa battaglia di mezzi blindati di Prochorovka nella quale le due parti - sovietica e tedesca - si erano affrontate schierando ognuna 1200 carri armati e cannoni semoventi. Una delle più grandi battaglie di mezzi corazzati della storia mondiale (…). Solitamente gli istruttori sanitari impiegati in reparti di mezzi blindati erano uomini, e qui invece c’era una ragazza. Avevo immediatamente deciso di andarla a conoscere…
Durante il viaggio sono tornata a pormi una questione divenuta urgente: come scegliere fra decine di indirizzi le persone da incontrare (...).
Ma non era destino che rimanessi più di tanto in compagnia dei miei pensieri: arriva la conduttrice del vagone con il tè. Subito lo scompartimento si anima e i passeggeri fanno rumorosamente conoscenza. Appare sul tavolo la tradizionale bottiglia di «Moskovskaja», qualche prelibatezza fatta in casa per accompagnarla (...).
Due dei miei compagni di viaggio hanno combattuto quella guerra (...).
Ho poi trascritto ciò che ricordavo della conversazione:
«Siamo una specie in via d’estinzione. Dei mammuth. Siamo di una generazione convinta che nella vita ci fosse qualcosa di più elevato della nostra stessa vita. La Patria, un nobile ideale. E, certo, Stalin (...)».
«Nessuna parola, è vero… Nel nostro gruppo c’era una ragazza molto coraggiosa… Andava sulle linee ferroviarie. A farle saltare. Prima della guerra tutta la sua famiglia era stata deportata: padre, madre e due fratelli maggiori. Lei viveva da una zia, sorella della madre. Fin dai primi giorni del conflitto, aveva cercato di unirsi ai partigiani. Avevamo notato tutti che si proponeva sempre per le missioni più rischiose… Voleva dimostrare qualcosa… Tutti ricevevano delle decorazioni, ma lei no. Mai una sola medaglia. Il motivo? Era figlia di due nemici del popolo. Proprio prima che arrivassero le nostre truppe, un’esplosione le aveva portato via una gamba. Sono andato a trovarla in ospedale… Piangeva… “Almeno adesso”, diceva tra le lacrime, “mi daranno fiducia”. Una bella ragazza…
«C’è stato anche questo, certo. Io comunque, quando mi sono trovato davanti le due ragazze che qualche idiota dell’ufficio per l’impiego del personale ci aveva assegnato in qualità di comandanti di plotone guastatori, le ho subito rimandate indietro (...)».
«Lei è dunque dell’idea che la donna in guerra sia fuori posto?»
«La Storia ci ricorda che nel corso dei secoli la donna russa non si è mai limitata a congedarsi dal marito, il fratello, il figlio in partenza per la guerra, e poi a struggersi nell’attesa del loro ritorno. Già la principessa Jaroslavna saliva sui bastioni della fortezza per versare pece bollente sulla testa dei nemici. Ma noi uomini provavamo un senso di colpa nei confronti delle ragazzine che vedevamo combattere, e questo mi è rimasto. Mi ricordo di quella volta… Ci stiamo ritirando… è autunno, piove in continuazione, da giorni. Sul margine della strada è riversa una giovane donna morta… uccisa… Ha una lunga treccia ed è tutta coperta di fango (...)».
«E nel dopoguerra?»
«Quando la guerra è finita, loro si sono ritrovate terribilmente vulnerabili e sole. Prendiamo per esempio mia moglie. È una donna intelligente eppure non ha molta considerazione per le ragazze che sono state nell’esercito. Secondo lei si arruolavano per trovarsi un fidanzato, e comunque l’ambiente era favorevole alle facili avventure. Non era così, stiamo parlando francamente e le dico che nella maggioranza dei casi si trattava di ragazze oneste. Pure. Ma dopo la guerra… Dopo il fango, i pidocchi, i morti. Desideravamo solo lasciarci tutto alle spalle, dimenticare il passato per qualcosa di nuovo, bello, luminoso. E, s’intende, per qualche bella donna…. Al fronte avevo un amico del quale era innamorata una ragazza che, oggi lo capisco, era semplicemente magnifica. Era un’infermiera. Ma lui non l’ha sposata e, dopo la smobilitazione, se ne è trovata un’altra più avvenente. E adesso le cose tra loro non vanno bene. E pensa spesso al suo amore di guerra e rimpiange quella che per lui sarebbe stata una buona compagna. Ma allora, dopo il fronte, non l’aveva presa in considerazione perché per quattro anni l’aveva vista tutti i giorni infagottata in panni maschili e con gli scarponi scalcagnati. Volevamo dimenticare la guerra. E abbiamo dimenticato anche le nostre ragazze».
«Proprio così, eravamo tutti giovani. Con una gran voglia di vivere…».