La Stampa 8.10.15
L’Intifada si allarga, scontri a Tel Aviv
Gli arabo-israeliani uniti ai palestinesi dei Territori Netanyahu rinvia il viaggio a Berlino: lotta al terrore
di Maurizio Molinari
I disordini palestinesi contagiano Jaffa, alle porte di Tel Aviv, e Benjamin Netanyahu punta l’indice contro il Movimento islamico della Galilea, accusandolo di essere «fra i registi dell’attuale ondata di terrorismo». Jaffa è la città araba attaccata a Tel Aviv, dove le ultime violenze risalivano al 2000 ovvero l’inizio della Seconda Intifada. La polizia viene colta di sorpresa quando una folla di dimostranti si avvicina alla locale scuola religiosa ebraica tentando l’assalto con sassi, molotov e petardi. Ne segue una battaglia che termina con cinque agenti feriti e una dozzina di arrestati.
Dentro la Linea Verde
Sono arabo-israeliani, cittadini a pieno titolo dello Stato ebraico, e l’impatto è una sorta di choc nazionale: su radio e tv leader religiosi musulmani ed ebrei si susseguono nel difendere Jaffa come «modello di coesistenza» dal 1948. Ma le bandiere verdi con le scritte coraniche innalzate in segno di sfida contro gli agenti suggeriscono che qualcosa è cambiato. Il portavoce della polizia, Micky Rosenfeld, punta l’indice contro il Movimento islamico del Nord, ovvero della Galilea, guidato da Sheikh Raed Salah, aggiungendo: «Sono gli stessi che organizzano le violenze nella moschea di Al Aqsa nella Città Vecchia di Gerusalemme».
Il gruppo dei Morabitun, autori dei recenti disordini ad Al Aqsa, era «pagato e organizzato» dal Movimento Islamico che, aggiunge la polizia, «è dietro anche la battaglia di lunedì nelle strade di Nazareth». Si tratta di città arabe dentro i territori di Israele pre-1967 e suggeriscono il rischio che la possibile Intifada 3.0, iniziata attorno a Gerusalemme, si estenda agli arabo-israeliani, il 20% della popolazione. Il premier Netanyahu è lapidario: «Il Movimento islamico del Nord è fra i responsabili dell’ondata di terrore, incita all’odio come Hamas e l’Autorità palestinese» e promette «severi provvedimenti».
L’affermarsi di una componente islamica fra gli arabo-israeliani, vicina ai Fratelli Musulmani, pone una nuova sfida alla sicurezza e Netanyahu decide di rimandare il vertice a Berlino con Angela Merkel. Gli attacchi al coltello si moltiplicano: alla Porta dei Leoni della Città Vecchia è una donna palestinese che si avventa contro un israeliano - che riesce a spararle - a Kityat Gat un soldato viene aggredito e a Petach Tikwa è un civile a essere accoltellato.
Abu Mazen, presidente palestinese, si affida ad «Haaretz» per imputare tale ondata di violenze «alle politiche errate del governo Netanyahu» e a rispondergli è il presidente israeliano, Reuven Rivlin, secondo il quale «Abu Mazen ha definito gli ebrei puzzolenti con un linguaggio che incita all’odio e dovrebbe cessare di adoperare perché dobbiamo vivere assieme». Scontri anche in Cisgiordania, dove la novità viene dagli «attacchi dei coloni contro i palestinesi» secondo i portavoce di Ramallah che parlano di «auto incendiate e persone aggredite con sassi e armi da fuoco».