Corriere 8.10.15
Israele, l’intifada dei coltelli
di Davide Frattini
Netanyahu non vuole sentir parlare di intifada e la definisce «ondata di terrorismo». Ma solo ieri sono stati tre gli israeliani pugnalati da giovani palestinesi.
GERUSALEMME Quella che Benjamin Netanyahu e i suoi generali chiamano «ondata di terrorismo» ieri è andata avanti dal mattino fino alla notte.
Un israeliano viene accoltellato per le vie della Città Vecchia a Gerusalemme da una donna palestinese e le spara con la pistola che porta con sé, sono tutti e due in ospedale. A Kyriat Gat nel sud del Paese un arabo colpisce con la lama un soldato, gli ruba l’arma di ordinanza e si chiude in un palazzo, viene ucciso dalle forze speciali. A Petah Tikva, città-sobborgo di Tel Aviv, un altro palestinese scende dall’autobus e pugnala il primo che incontra, gli altri passanti lo fermano. Verso Maale Adumim, grande insediamento vicino a Gerusalemme, il conducente di un furgone cerca di investire i poliziotti a un posto di blocco che lo fermano a fucilate (in questo in caso gli investigatori non sono sicuri che l’assalitore avesse motivazioni politiche/nazionalistiche).
Il primo ministro israeliano non vuole sentir parlare di intifada ma è alle due rivolte precedenti che pensa quando dice «vogliono instillare la paura dentro di noi, il modo di sconfiggerli è dimostrare calma e determinazione come abbiamo già fatto in passato». Decide di cancellare il viaggio in Germania per dimostrare che non lascia Israele durante l’emergenza e per rispondere agli attacchi degli alleati di governo che lo accusano di essere troppo morbido nella reazione.
Naftali Bennett, il ministro dell’Educazione e capo del partito che rappresenta i coloni, sostiene che «l’esercito ha le mani legate». Per smentirlo interviene addirittura il capo di Stato Maggiore Gadi Eisenkot: «Abbiamo ottenuto le forze che abbiamo richiesto e il via libera alle operazioni». Di certo Netanyahu e Moshe Yaalon, il ministro della Difesa che da generale ha comandato Tsahal durante la seconda intifada tra il 2000 e il 2005, preferiscono cercare di disinnescare la violenza senza andare allo scontro frontale, sperano che il coordinamento con le forze palestinesi sia sufficiente a riportare la calma.
I disordini continuano in tutta la Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Martedì sera anche gli arabi di Jaffa hanno bloccato la via principale verso Tel Aviv, lanciato pietre contro i poliziotti e incendiato i cassonetti. Manifestavano in solidarietà con i giovani che da giorni combattono l’esercito, i feriti tra i palestinesi sono almeno trecento, due i morti.
Da Ramallah il presidente Abu Mazen ripete di opporsi alla violenza e ha dato ordine alle forze di sicurezza di fermare i disordini. In un’intervista al quotidiano israeliano Haaretz giustifica la rabbia della sua gente e commenta: «Noi tiriamo le pietre, voi usate munizioni». E’ consapevole che una rivolta continuata danneggerebbe il suo controllo del potere.
Eppure sono stati anche i suoi proclami a fomentare il caos di questi mesi: accusa Netanyahu di voler cambiare le regole di accesso alla Spianata, di voler permettere agli ebrei di pregare tra le moschee.
La questione della Spianata, il luogo venerato dagli ebrei come Monte del Tempio, ha rinforzato l’elemento religioso del conflitto. Abu Mazen e i leader islamisti non hanno voluto ascoltare le smentite e le assicurazioni del governo israeliano, ancora ieri il Fatah del presidente palestinese ha esaltato «i ragazzi che proteggono la moschea Al Aqsa». Le provocazioni dei fanatici religiosi ebrei hanno aiutato la retorica araba attorno al terzo luogo più sacro per i musulmani sunniti.
Davide Frattini