giovedì 8 ottobre 2015

La Stampa 8.10.15
Forza Italia vota col governo
Si sfaldano le opposizioni
Dopo la mossa di Romani, le accuse di un nuovo “inciucio”
di Mattia Feltri


Non è facile stabilire se quello di ieri mattina fosse Romani Uno o Romani Due (Romani, inteso Paolo, milanese sessantottenne e capogruppo di Forza Italia al Senato). Stiamo parlando del Romani - Uno o Due - che ieri mattina ha preso tutti per incantamento alzandosi in aula e annunciando il voto contrario del suo gruppo a un emendamento della minoranza del Pd. Era per inatteso miracolo un emendamento, cioè una proposta di modifica, appoggiato da Sel, leghisti, cinque stelle, fittiani, cioè dalla mitologica opposizione unita che cominciava a progettare, oltre i disprezzi e le diffidenze reciproche, una strategia collettiva di resistenza. Noi cronisti lassù in tribuna non ci potevamo credere. Insomma: da tre settimane queste minoranze sciammannate aspettavano l’occasione, l’occasioncina, l’apertura, il pertugio in cui infilare un dito e finalmente eccolo lì, e subito buttato a mare: dopodiché, fatti i conti, è saltato fuori che i voti di Forza Italia sono stati ininfluenti per tenere su la maggioranza, ma sufficienti perché quello che è parso un (preventivo) soccorso azzurro fosse elevato a prova della rinascita del Patto del Nazareno. Matteo Renzi e Silvio Berlusconi ancora insieme, e forse non si sono mai lasciati, e se non è amore è almeno filarino.
Quanto c’entri Berlusconi non è poi del tutto chiaro, ma è molto chiaro quanto c’entri Romani e al termine di una riunione di forzisti, ieri pomeriggio, qualcuno di loro raccontava furente che nessuno sapeva nulla dell’abile mossa, ma ipotizzava il compenso. Nel festival dell’illazione vale anche questa, e però viene sempre più complicato interpretare il nostro Romani, un Carneade del Terzo Millennio, non perché sia sconosciuto al modo di Alessandro Manzoni, ma perché come il filosofo greco è in grado di sostenere un giorno una posizione e il giorno dopo la posizione opposta, senza vacillare su un solo aggettivo. Ecco, era il Romani Uno che nel luglio 2014 sosteneva la necessità di «trovare meccanismi per accelerare il dibattito sulle riforme» perché «procedere spediti è bene per il paese» o il Romani Due che nel settembre 2015 osserva che «non si possono fare le riforme solo per poterle fare in fretta»? Era il Romani Uno che nel luglio 2014 invitava a decidere «una volta per tutte che sulle riforme costituzionali non possono esserci voti segreti», oppure era il Romani Due che nel settembre 2015 supplica il presidente Piero Grasso di consentire «a questa aula di fare almeno un voto segreto»? È il Romani Uno che un anno fa votava contro il Senato elettivo o il Romani Due che quest’anno s’è battuto per il Senato elettivo? È, per essere brevi, il Romani Uno che un anno fa esultava per una riforma con «due firme, quella di Matteo Renzi e quella di Silvio Berlusconi», per una «pagina fondamentale del nuovo assetto istituzionale», un modello di monocameralismo «che aveva in mente Berlusconi nel 1994» o il Romani Due che da giorni in aula ci ripete che la riforma è orrenda orribile orripilante?
O magari sarà soltanto un Romani Uno e mezzo, impegnato ieri a spiegare a chi gli dava di stampella e di venduto e di doppiogiochista che lui si stava semplicemente concentrando sul merito, e votare quell’emendamento sarebbe stato più dannoso alla Costituzione che vantaggioso all’opposizione. Non ha convinto nessuno, e nemmeno qualche lealista renziano come Nicola Latorre che ha buttato lì la spiritosaggine: «Visto che il problema non era Denis Verdini?». E pare non abbia convinto nemmeno i suoi poiché in coda alla riunione di forzisti cui abbiamo accennato prima si era sparsa la voce, sparsa dai forzisti medesimi, che dopo l’inciampo non c’era altra tattica al di fuori dell’Aventino, cioè dell’abbandono dell’aula. «Aventino? No, l’Aventino non è mai stato nel novero delle nostre possibilità», ha detto Romani Uno, presumibilmente insieme a Romani Due.