sabato 3 ottobre 2015

La Stampa 3.10.15
In Israele uno Stato binazionale
di Abraham B. Yeoshua


All’incirca un mese fa l’università di Bar Ilan ha organizzato un convegno in cui si è cercato di fare un consuntivo sui dieci anni trascorsi dalla smobilitazione dalla Striscia di Gaza.
Al convegno hanno preso parte alcuni dei promotori del progetto, alcuni ex residenti della Striscia, nonché dei rabbini che ne avevano seguito l’evacuazione fin dalle prime fasi. Il folto pubblico presente in sala era per lo più formato da falchi ostili allo sgombero e osservanti nazionalisti.
Anch’io sono stato invitato a tenere un intervento durante una delle sessioni di lavoro ed ero l’oratore che più si identificava con la sinistra politica. Ho esordito con queste parole: «Il ministro della difesa Ayalon ha detto qualche tempo fa che non c’è alcuna possibilità che durante la sua vita si arrivi a un accordo di pace o di qualunque altro tipo con i palestinesi. E io mi permetto di replicare che se Israele continuerà a seguire questa linea politica può essere certo che nemmeno i suoi figli e i suoi nipoti vedranno la pace».
Non appena ho pronunciate queste parole si è diffuso tra una parte del pubblico un mormorio di rabbia e io mi sono chiesto: Perché? In fondo la maggior parte dei presenti è a favore di un ampliamento degli insediamenti e si oppone a un ritiro dalla Giudea e dalla Samaria. È convinta che Israele non abbia un partner per un negoziato di pace e nemmeno abbia bisogno di un simile partner. Perché quindi queste persone si sentono deluse quando un sostenitore della pace si unisce al loro scetticismo? Riflettendo, però, ho capito che la loro rabbia scaturiva proprio dal fatto che un sostenitore «storico» della sinistra come me avesse rinunciato alla speranza della pace e tradito così la sua missione. Come se il compito dello «schieramento per la pace» israeliano fosse quello di tenere viva questa speranza mentre quello dello «schieramento nazionalista» fosse quello di negarne quasi del tutto la possibilità.
In un certo senso anche fra le file della sinistra esistono sentimenti paralleli e contrari. C’è la volontà di credere nella pace, nella disponibilità dei palestinesi ad accettare l’idea di due Stati ma, d’altro canto, di lasciare alla destra il compito di spiegare e rispiegare quanto sarà difficile e quasi impossibile evacuare insediamenti, dividere Gerusalemme, e quanto grande è il timore che, come dopo il ritiro da Gaza, si rinnovi l’aggressività di Hamas. E nel caso fosse già esistito uno Stato palestinese e centinaia di migliaia di profughi siriani e iracheni vi avessero cercato rifugio, cosa sarebbe successo?
Quindi, per uscire dalla trappola che vanifica e paralizza ogni fruttuosa e concreta discussione fra le fazioni è importante tentare un approccio diverso, anche solo a titolo di esercizio intellettuale, e prendere in considerazione una soluzione bi-nazionale che potrebbe generare nuove idee di tipo federativo (con la Giordania o senza) o cantonale (sull’esempio della Svizzera) per riportare una speranza di pace concreta ma anche per definirne chiaramente il prezzo.
L’idea di un unico Stato che conceda la cittadinanza israeliana ai palestinesi che vorranno farne richiesta (così come proposto a grandi linee dal presidente israeliano Reuven Rivlin) potrebbe rivelarsi un interessante esercizio mentale, scuotere cliché fossilizzati che hanno ormai fatto il loro tempo e stimolare proposte nuove e creative. Infatti, quando la destra parla della creazione di due Stati senza però rinunciare a un ampliamento degli insediamenti e a uno stretto controllo sui territori occupati, la sinistra traccia mappe irrealizzabili di una Gerusalemme divisa, conservando stanziamenti ebraici con sempre nuove diramazioni e i palestinesi, dal canto loro, mantengono un atteggiamento di offesa passività e vittimismo, il processo di pace si va sempre più impantanando.
Lo Stato di Israele all’interno della linea verde è già, in un certo senso, uno stato bi-nazionale e va detto che sia ebrei sia arabi israeliani hanno affrontato con grande bravura le ardue prove a cui questa convivenza li ha sottoposti. L’idea di una bi-nazionalità non è estranea ad ampi settori del sionismo socialista storico o della destra liberale ed è profondamente radicata nella coscienza di gran parte dei palestinesi.
È vero che dalla fine della Guerra dei sei giorni (ovvero da più di 48 anni) io sono dell’opinione che dovremmo proporre ai palestinesi un loro Stato, ma fa male pensare che questa opinione, giusta da un punto di vista politico ed etico, fa sì che l’occupazione della Cisgiordania continuerà ancora per molti anni a venire, il terrorismo non verrà debellato e la pace non farà capolino all’orizzonte ma sarà velata da una gialla foschia siriana.