Il Sole 3.10.15
Il Muro abbattuto 25 anni fa, ma non è un compleanno felice
di Alessandro Merli
Ci saranno gli atti solenni alla Paulskirche, la sede del primo Parlamento tedesco. Il servizio religioso in cattedrale. I discorsi di Angela Merkel e di Joachim Gauck, guarda caso due Ossie, cresciuti nella Repubblica democratica, alla Alte Oper. Le rockstar ormai sbiadite degli anni 80 canteranno in piazza. E tutto si trasformerà, come piace ai tedeschi, in una festa di paese. Ma non sarà un compleanno felice, quello di oggi, per la Germania, a venticinque anni dalla riunificazione.
Un miracolo, lo ha definito il ministro delle Finanze Wolfgang Schaueble, che allora era il braccio destro di Helmut Kohl, il cancelliere della Germania unita. Un miracolo nel quale quasi nessuno sperava più, dopo 45 anni di separazione. A 25 anni, la Germania riunificata è alle prese con la sua più grave crisi di identità, e senza avere risolto del tutto le conseguenze della lunghissima spaccatura in due del Paese.
La riunificazione è costata 1.900 miliardi di euro di trasferimenti, secondo le stime della cassa pubblica Kfw. I tedeschi dell’est hanno visto raddoppiare il proprio reddito rispetto al 1989, ma restano di un terzo più poveri di quelli dell’ovest. La disoccupazione è il doppio nei Laender della vecchia Repubblica democratica. È a est che fioriscono i movimenti più xenofobi e i neonazisti. L’economia fu spazzata via dal cambio del marco orientale uno-a-uno con il Deutsche mark e liquidata senza complimenti dalla Treuhandanstalt. Non una sola impresa dell’est di qualche dimensione è sopravvissuta. C'è una certa ironia nel fatto che sia toccato a Jens Weidmann, l'attuale presidente della Bundesbank, inaugurare questa settimana una mostra, al municipio di Francoforte su quell'unione monetaria che il suo predecessore, Karl Otto Poehl, osteggiò fino alle dimissioni. Lo stesso Poehl ammetterà poi che la scelta, priva di logica economica, era politicamente inevitabile, a fronte dell’esodo biblico da est a ovest dopo la caduta del muro di Berlino. E ne traeva un esempio da non imitare in Europa. Ma più della faglia fra est e ovest, la Germania è oggi preoccupata del suo ruolo in Europa e nel mondo. La parte di “egemone riluttante”, che così a lungo l'ha messa a disagio, la recita oggi in modo forse meno riluttante, o forse la nuova veste le è stata semplicemente imposta dalla forza delle cose. Sulla crisi dell’eurozona, soprattutto sul caso Grecia, e su quella dei rifugiati, Berlino ha esercitato finalmente una leadership che ora le viene rinfacciata dal resto d’Europa. Un cambiamento non senza conseguenze anche sull’opinione pubblica: la popolarità della signora Merkel ha perso 9 punti, ed è scesa al 54%, dopo le sue aperture sul tema dei rifugiati. Il 51% dei tedeschi ha paura di una “invasione” che molti ritengono sia da attribuire al cancelliere. La Germania è confusa, divisa fra gli xenofobi di Pegida e dell’Afd e i cittadini che vanno ad accogliere i profughi. In mezzo, una popolazione sorpresa dal fenomeno, ma anche dall’inettitudine della risposta governativa. Su queste vicende, si è innestato lo scandalo Volkswagen, un’altra brutta storia che mette in crisi le certezze che i tedeschi hanno su se stessi e che spesso, in modo non del tutto giustificato, gli altri hanno su di loro. Lasciamo stare il colpo inferto al feticcio nazionale dell’auto. Pesa sulla coscienza della gente il tradimento del mito dell’industria, dell’efficienza, dell'innovazione, della competitività nel rispetto delle regole. Le conversazioni anche con esponenti dell’establishment economico registrano reazioni esterrefatte. Non è un bel momento, nonostante l’economia stia bene e la disoccupazione sia ai minimi, appunto, dalla riunificazione. A 25 anni, la Germania è cresciuta, come scrive Cees Nootebloom, lo scrittore olandese cantore di Berlino e della caduta del muro, ma non sa cosa vuol fare da grande con il potere di cui dispone in Europa.