sabato 3 ottobre 2015

La Stampa 3.10.15
Il premier alla presa del palazzo
Il governo ha vinto e le opposizioni sono finite ko
di Marcello Sorgi


No, non è solo la sofferta approvazione in terza lettura della riforma del Senato la cui fine ingloriosa avviene, tra lazzi, insulti e gestacci irripetibili -, ciò a cui stiamo assistendo in questi giorni. È qualcosa di più e di diverso, come sta emergendo: si tratta, in altre parole, della presa del Palazzo da parte di Renzi e degli infaticabili scudieri del suo governo.
Quel Palazzo, è bene ricordarlo, in cui lo stesso Renzi era entrato nel pomeriggio del 24 febbraio 2014, precisando subito di non avere l’età per esservi eletto, e annunciando bruscamente lo sfratto ai senatori, a cui il governo si presentava per l’ultima volta a chiedere la fiducia.
Venti mesi dopo il percorso è finito, e Renzi si prepara già a twittare uno dei messaggi che contrassegnano i risultati del suo lavoro. Ed anche se c’è sempre il rischio che la riforma possa saltare nella votazione finale segreta -, il bilancio politico di queste settimane lascia pensare che difficilmente l’ultimo pezzo di strada prima del traguardo potrà rivelarsi più accidentato di quello attraversato in questi giorni.
Basta guardarsi attorno: la destra s’è squagliata e Berlusconi, per evitare che nel segreto dell’urna si schierassero a favore della riforma o allungassero la fila dei transfughi, ha dovuto ordinare ai suoi parlamentari di uscire dall’aula. La minoranza bersaniana del Pd alla fine ha dovuto accordarsi, per non votare contro la riforma insieme a Lega e a M5s. Salvini, tenendosi a distanza dal campo di battaglia, ha lasciato fare a Calderoli la sceneggiata degli 85 milioni di emendamenti, rivelatasi un boomerang per il suo stesso autore. E Grillo ha fatto più o meno lo stesso, al netto di qualche iperbolico attacco dal suo blog, senza entrare nel merito della riforma.
L’attenzione di tutti gli osservatori si è così concentrata sul nuovo gruppo di Verdini, l’ex-coordinatore che ha guidato la nuova scissione da Forza Italia, portando a Renzi da dieci a quindici voti nei passaggi decisivi e rendendo quasi del tutto inoffensivo il dissenso interno del Pd. Adesso tutti si aspettano che il premier debba ricompensare l’aiuto ricevuto con un allargamento della maggioranza e un eventuale ingresso al governo o nel sottogoverno di qualche verdiniano di complemento. Ma si può già scommettere che questo non accadrà, perché a Renzi lo dicono i sondaggi non converrebbe da un punto di vista elettorale, e perché Verdini fa un calcolo diverso. Infatti l’uomo-chiave del fu patto del Nazareno (che a inizio d’anno, quando l’intesa con Berlusconi era ancora in piedi, entrava e usciva da Palazzo Chigi), si accontenta, per ora, di stuzzicare gli oppositori interni al Pd e farli apparire ininfluenti, aspettando il momento in cui una nuova rottura, come quella che stava profilandosi all’inizio della trattativa sulla riforma tra la maggioranza e la minoranza del partito del premier, renda i suoi voti indispensabili per evitare una crisi che porterebbe alla fine della legislatura. Lavorano a suo favore il tempo e il desiderio di durare il più possibile degli ultimi senatori in carica, prima dell’avvento del Senato dei consiglieri regionali e dei sindaci. E le occasioni per contare non mancheranno, se solo si considera che i bersaniani si preparano a una nuova offensiva sulla legge di stabilità, che dev’essere approvata entro fine anno. Il fatto che uno “brutto, sporco e cattivo” come lui stesso ama ironicamente definirsi, possa diventare decisivo, manda in sollucchero Verdini, consapevole che nella partita delle riforme, e non solo, c’è sempre un secondo tempo da giocare.
Ma con la presa del Palazzo, l’Italia diventerà renziana? È ancora presto per dirlo, ma non si può affatto escludere. Sembrava fatta, per il giovane premier, dopo la cavalcata trionfale delle elezioni europee del 2014 che portarono il Pd al 40,8 per cento, mentre quelle amministrative di quest’anno, pur positive in termini di conquista delle regioni, quanto a consensi sono state più deludenti. Renzi punta a rifarsi nel voto per i sindaci delle grandi città del 2016, scommette sulla ripresa economica, invero ancora timida, prepara una manovra economica di fine anno incentrata sul taglio delle tasse sulla casa, che pesano sull’85 per cento dei contribuenti italiani. Infine, lavora sulla percezione e sull’immagine di se stesso, per far capire che è sempre lo stesso Renzi, e insieme che è maturato. Non a caso, l’uomo che era entrato in scena da rivoluzionario, rottamando la vecchia politica e promettendo di usare il lanciafiamme contro le resistenze e i ritardi della burocrazia, alla fine ha conquistato il Palazzo grazie ai consigli di un esperto funzionario del Senato, che ha regalato la celebrità al famigerato Cociancich e s’è inventato l’emendamento “super canguro”: grazie al quale la riforma è entrata in dirittura d’arrivo, il governo ha vinto e le opposizioni sono finite ko.