giovedì 29 ottobre 2015

La Stampa 29.10.15
La resa di Obama ai generali
“Azioni di terra contro Isis”
Dopo l’Afghanistan gli Usa rivedono la loro strategia anche in Siria
Il Pentagono: “Ci baseremo sulle tre R: raid aerei, Raqqa e Ramadi”
di Paolo Mastrolilli


La conferma è arrivata direttamente dal capo del Pentagono, Ashton Carter. Durante l’audizione di martedì al Senate Armed Services Committee ha detto: «Sosterremo i nostri partner negli attacchi contro l’Isis, oppure condurremo queste missioni direttamente, con bombardamenti dall’aria o azioni sul terreno».
Con queste parole il segretario alla Difesa ha confermato le anticipazioni del Washington Post, secondo cui i militari stavano premendo sul presidente Obama per mandare le truppe speciali sul terreno in Siria e Iraq, e cambiare la dinamica dell’intervento contro l’Isis. Carter ha spiegato che la nuova strategia si basa su tre «R»: Raqqa, la capitale dello Stato islamico che dovrebbe essere attaccata dai curdi con l’aiuto degli americani; Ramadi, la città sunnita nella provincia irachena di al Anbar, che le forze locali devono riprendere col supporto degli Usa e degli elicotteri Apache, entrati in azione domenica; Raid, cioè le operazioni mirate contro l’Isis e la sua leadership, che verranno condotte direttamente dalle forze speciali sul terreno.
Questa nuova strategia muscolare risponde all’intervento russo in Siria, e si accompagna al filone diplomatico, che riprenderà con i colloqui di domani a Vienna. Però rappresenta anche un nuovo capitolo del complicato rapporto fra Obama e i suoi generali.
La promessa di Obama
Il presidente era entrato alla Casa Bianca con l’obiettivo dichiarato di mettere fine alle guerre avviate dal suo predecessore, la riluttanza culturale ad usare la forza, e lo scetticismo fisiologico verso i militari. I soldati, a loro volta, erano prevenuti verso Obama, che tra i suoi primi atti aveva rifiutato la richiesta dell’allora comandante a Kabul, David McKiernan, di inviare altri 30.000 uomini. Lo scontro aperto era avvenuto nel giugno del 2010, quando il generale McChrystal era stato costretto a dimettersi dal comando delle forze in Afghanistan, per le critiche lanciate contro l’amministrazione in un profilo scritto da Michael Hastings su Rolling Stone. Il suo posto lo aveva preso David Petraeus, che nel settembre del 2011 era stato nominato direttore della Cia, secondo i maligni per evitare che si candidasse alle presidenziali. Petraeus era saltato poi per una relazione extraconiugale, e la sua disavventura aveva travolto anche John Allen, leader delle truppe a Kabul dal 2011 al 2013. James Mattis, capo del Comando Centrale, aveva invece perso il posto per divergenze sulla strategia del dialogo con l’Iran, mentre il leader di Africom Carter Ham aveva pagato con la pensione accelerata l’assalto al consolato di Bengasi.
Strategia fallimentare
Obama aveva colto al volo l’opposizione del premier iracheno al Maliki alla presenza di truppe americane in Iraq, per ritirarle tutte, lasciando così lo spazio dove era rinata l’Isis, dalle ceneri del gruppo terroristico di Zarqawi. In Siria invece aveva rinunciato ad un intervento che sembrava deciso, dopo l’uso delle armi chimiche da parte di Assad, stupendo i militari e favorendo tanto il regime, quanto l’Isis. Poi aveva nominato proprio Allen per gestire la coalizione anti Isis, ma pochi giorni fa lo ha sostituito col diplomatico Brett McGurk, dopo che l’ex generale si è dimesso per impazienza verso il modo in cui veniva applicata la strategia contro lo Stato Islamico.
La realtà sul terreno ora sta cambiando questa dinamica. Il segretario alla Difesa Hagel, forse ancora più riluttante di Obama ad usare la forza, era stato sostituito da Carter proprio per immaginare una strategia più efficace. Il successo dell’Isis, e il rischio che la stessa disfatta si replichi in Afghanistan, hanno costretto il presidente a rimandare il ritiro da Kabul. Il caos in Siria ed Iraq ora lo spingono a mettere gli «stivali sul terreno». Sembra la rivincita dei generali, ammesso che adesso possa bastare.