giovedì 29 ottobre 2015

il manifesto 29.10.15
E Cuba isola Washington
Nazioni unite. 191 a 2, voto da record per la risoluzione anti-embargo. Solo Israele con gli Usa. L’accademico Esteban Morales: «A Obama non è riuscito il passo finale». Mariela Castro: «Speravamo almeno in un’astensione»
di Roberto Livi


L'AVANA «191 vs 2», sono i numeri dello «schiacciante rifiuto dell’Onu» dell’embargo americano. La quasi totalità delle nazioni, salvo Usa e Israele, «hanno appoggiato la risoluzione presentata da Cuba: è la più alta percentuale mai registrata alle Nazioni Unite». Naturalmente ieri i due quotidiani nazionali, Granma e Juventud rebelde, hanno sottolineato la vittoria diplomatica dell’Avana e l’impressionante isolamento degli Stati Uniti. Ed entrambi hanno ripetuto che «fino a quando continuerà il bloqueo, continueremo a presentare all’Onu un progetto di risoluzione» contro l’embargo.
«Incongruenza o impotenza politica? Il voto degli Stati uniti contro la risoluzione cubana che chiede la fine dell’embargo dimostra che la politica estera è diretta dal Congresso degli Usa e non dal presidente Obama e dalla sua Amministrazione. Obama diventa così il principale nemico della sua politica». Duro il commento di Esteban Morales, accademico e autore di due libri sui rapporti tra Usa e Cuba. «191 voti a favore contro due. È una dimostrazione evidente dell’isolamento di Washington nei confronti di una politica che lo stesso presidente lo scorso 17 dicembre aveva definito obsoleta e controproduttiva. Una politica aggressiva che aveva isolato gli Stati Uniti dal subcontinente latinoamericano. Obama però non riesce a fare un passo in avanti, anzi, con il no all’Onu rischia un passo indietro».
Morales, esprime con veemenza la sua delusione. Come altri commentarori auspicava che gli Usa si astenessero, in modo da dare un «segnale forte a livello internazionale». In questo modo Washington non mostra alcuna reale volontà« di affrontare i nodi che Cuba ritiene essenziali per far progredire i negoziati per giungere a una piena normalizzazione dei rapporti: fine dell’embargo, restituzione della base di Guantanamo, risarcimento dei danni subito dall’isola a causa del più che cinquantennale blocco economico, commerciale e finanziario» (valutati quasi 900 miliardi di dollari). Ma, per Morales, quello di Obama è anche un segnale di debolezza interna. «Si è assicurato un posto nella storia con la decisione di ristabilire relazioni diplomatiche. Ma non vuole fare il passo finale in modo da garantire che il processo sia irreversibile. Che non vi sia un roll back dopo le elezioni presidenziali dell’anno prossimo».
Il tema è stato ripreso anche da James Early, fondatore del centro Martin Luther King, in una intervista a Telesur. Il leader afroamericano ha messo in luce che la politica dell’Amministrazione è condizionata da vari centri di potere che generano divisioni nel governo all’interno delle fila democratiche e dunque indeboliscono il presidente. Non solo, Obama deve cercare di garantire le condizioni che favoriscano l’elezione, l’anno prossimo, del candidato democratico alla presidenza. «Dunque non ha voluto sfidare il Congresso, a maggioranza repubblicana contraria alla fine dell’embargo», sostiene Early.
Anche Mariela Castro, figlia minore del presidente, deputata all’Avana, ci dice che «si aspettava e sperava in un’astensione». Con la sua lunga lotta contro la discriminazione di genere Mariela viene descritta come «il volto liberal» del governo. «Certo è stata una grande vittoria per Cuba e una delusione per chi pensava che Obama, dopo aver ammesso il fallimento dell’embargo e aver chiesto al Congresso di eliminarlo, fosse disposto a dare un segnale di cambiamento».