mercoledì 21 ottobre 2015

La Stampa 21.10.1
Quei cocktail colorati sanno di fragilità
di Massimiliano Panarari


Ogni epoca e ogni generazione ha i propri riti di iniziazione. Quelli che cementano e tengono insieme, quelli che garantiscono il formarsi e il consolidarsi di una comunità. Esattamente quelli – anche se appare preoccupante e surreale – che oggi passano per i nuovi coloratissimi cocktail superalcolici per adolescenti. Per lungo tempo, nel nome della trasmissione generazionale, questi riti di passaggio erano eterodiretti e governati dai più anziani, poi quando i processi di invidualizzazione sono diventati la cifra fondamentale delle nostre società queste «cerimonie» sono cambiate, e il ruolo del singolo è diventato fondamentale. Singolo può essere individuo (cosa che ci piace), ma anche monade che per definirsi sceglie di andare «contro», di épater les bourgeois, come si sarebbe detto un tempo, scandalizzando le generazioni precedenti vissute come assenti ed egoiste, e incapaci di dispensare punti di riferimento.
Nelle bevute di massa che si celebrano all’ora dell’aperitivo nelle piazze requisite dagli eserciti dello spritz, come nei fiumi di alcolici (in alcuni casi, purtroppo sempre meno rari, fino allo stordimento) delle serate in discoteca c’è, al tempo stesso, la rivendicazione di Sé come la richiesta (nascosta) di attenzione da parte di un universo degli adulti vissuto come lontano, respingente e incomprensibile. Anche per questo i giovanissimi dell’epoca postmoderna dove tutto è fluido sono tornati a bere, precisamente più di quanto si facesse negli anni ’60 e ’70 (quando c’era l’impegno politico, anche ossessivo, a fungere da collante) e più di quanto accadeva negli Anni 80 e nei 90 (dove si era rivolti verso il successo, il profitto e l’affermazione professionale). Il cocktail dei giovanissimi, invece, odora appunto di fragilità: in una società che si è fatta liquida (in questo caso in tutto e per tutto...) la tribù si costituisce per via alcolica e dura «lo spazio di un mattino» (anzi, di una sera), quello appunto del rito «comunitario» del bere. Se la cifra dominante del vivere è quella postidentitaria, allora brand e marche funzionano anche e necessariamente quando un giovanissimo beve (si pensi al successo delle bevande energizzanti). E visto che non ci sono identità durevoli tanto vale vivere (pardon, bere) «da leoni» per una sera. Bevono in compagnia all’insegna di un carnevale che fa tanto sospensione della noiosa realtà, presente in tutte le fasi della storia e che ora si modella sullo sballo dello spring break all’americana. Ma sono monadi nel flusso, appunto. Soli, terribilmente soli, alla ricerca (sbagliata) di un senso nell’eccesso superalcolico. E noi adulti siamo troppo distratti...