sabato 17 ottobre 2015

La Stampa 17.10.15
Manovra di destra o di sinistra?
In realtà guarda alle amministrative
di Marcello Sorgi


All’indomani della pirotecnica presentazione della legge di stabilità da parte di Renzi, una curiosa disputa s’è aperta nella politica italiana: la manovra di quest’anno è di destra o di sinistra? Berlusconi, tornato in scena, è arrivato a dire che Renzi, sul taglio delle tasse sulla casa, lo ha copiato, mentre la minoranza Pd, appena uscita dalla battaglia sulla riforma del Senato, già affila le armi per l’esame parlamentare delle tabelle del testo della manovra.
Che il premier, oltre a cercare di consolidare la ripresa economica in atto, abbia progettato l’impianto delle misure di fine anno con l’occhio alle prossime elezioni amministrative di primavera, è fuor di dubbio, e in qualche modo è normale. E che, a parte il taglio dell’Imu sulla prima casa, che si rivolge indistintamente alla stragrande maggioranza degli italiani (82 per cento) proprietari di casa, ed ha pertanto sollevato riserve degli oppositori interni del Pd, gli altri interventi occhieggino al cosiddetto ceto medio moderato che potrebbe abbandonare il centrodestra, è altrettanto certo. Vedi l’innalzamento dell’uso di contante da mille a tremila euro, vedi l’estensione delle agevolazioni per il lavoro anche alla piccola imprenditoria e al popolo della partita Iva. Vedi anche la soddisfazione di Alfano e di Ncd, che dicono che sono stati realizzati punti qualificanti del loro programma.
Ma che questo possa bastare, a Renzi, ad affrontare a cuore più leggero l’appuntamento delle amministrative, sarà da vedere. Il grosso della partita infatti si gioca nelle grandi città. E il novanta per cento del risultato dipenderà da Milano e da Roma. Ma mentre per il capoluogo lombardo comincia a delinearsi una strategia che, sommata ai buoni risultati della giunta Pisapia, e con l’ipotesi di candidare il responsabile dell’Expo Sala, potrebbe funzionare, sulla Capitale manca ancora un progetto in grado di portare il Pd fuori dalle secche in cui è finito con il caso Marino. Di candidature ancora non si parla e l’ex-numero due di Veltroni Goffredo Bettini, padre, ma non unico, della scelta del sindaco oggi dimissionario, s’è fatto vivo con una lettera al Foglio in cui ricorda che alla scelta di Marino il Pd nel 2013 arrivò un po’ per convinzione è un po’ per disperazione, dato che nei cinque anni di Alemanno il partito non era stato in grado di riprendersi dalla sconfitta del 2008 e si era ridotto a un vassallaggio consociativo dell’amministrazione di centrodestra. Da cui, come adesso si sa, originò lo scandalo di Mafia capitale, il cui processo sta per cominciare e accompagnerà buona parte della campagna elettorale romana.