sabato 17 ottobre 2015

La Stampa 17.10.15
Compromesso sul nuovo Senato
A gennaio il voto alla Camera, nell’autunno 2016 referendum
Il Pd voleva accelerare, lite e poi intesa con le opposizioni
di Carlo Bertini


Ci son voluti due round sul ring della capigruppo di Montecitorio per sfornare il compromesso, ma alla fine c’è una data entro cui la riforma costituzionale sarà votata dalla Camera, anzi due: il 4 dicembre finiranno i voti in aula sugli emendamenti (che avranno inizio il 20 novembre) e poi l’11 gennaio il voto finale. Ciò significa che dopo gli altri due passaggi definitivi a Palazzo Madama e a Montecitorio, (che se tutto va bene si concluderanno a metà aprile), il referendum con cui i cittadini potranno dire sì o no all’abolizione del Senato si terrà nell’autunno 2016: senza quindi poter essere accorpato con l’Election Day delle comunali di maggio. Obiettivo questo che ormai pare accantonato, perché i tecnici del governo hanno valutato che sarebbe assai arduo riuscire a rispettare la tempistica prevista dalla legge sulle consultazioni popolari. Ma la voglia del Pd di anticipare a novembre il voto alla Camera per accelerare ha fatto nascere il sospetto nelle opposizioni: in ogni caso la Boschi ha indicato l’autunno come sbocco più probabile per il referendum.
Scenari e congresso Pd
Ora che la riforma clou della legislatura va in discesa verso l’approdo, in Transatlantico già si tracciano scenari futuri, assai prematuri, perfino oltre la consultazione popolare sulla riforma del Senato dell’autunno 2016: nei timori dei peones del Pd il referendum potrebbe essere usato come trampolino di lancio di una lunga campagna elettorale per andare alle politiche nel giugno 2017. Magari anticipando pure le primarie nazionali per il congresso del partito - previsto in autunno - alla primavera 2017. Suggestioni che aleggiano nel Pd malgrado il premier continui a ripetere che la legislatura proseguirà fino al 2018: ma che non sono fuori dell’orizzonte dei quadri alti e intermedi. «Sì, ne ho sentito parlare, ma vedremo», ammette in un Transatlantico deserto il segretario regionale del Pd siciliano, Fausto Raciti. Renzi però fissa ben altro orizzonte: «l’Italia è arrivata all’ultimo miglio di questa fase di transizione delle riforme e ora inizia il bello, pensare all’Italia dei prossimi 20 anni».
La corrida a Montecitorio
In ogni caso, a parte le tribolazioni del Pd e quelle di Ncd, lo scenario più realistico e immediato prevede per la riforma costituzionale un’altra corrida a Montecitorio con le opposizioni, analoga a quella vissuta dal Senato. E c’è voluta una mediazione della Boldrini per convincere tutti i contendenti a convergere su una data certa per il varo.
La paura dei vertici Pd era la Lega e un’altra valanga di emendamenti, ma il Carroccio si è impegnato, così come Forza Italia e Sel, a chiudere l’11 gennaio. Dunque tranne che con i 5Stelle - «dispiace che si tirino sempre fuori», dice la Boschi, «il loro obiettivo è rinviare sine die» - con gli altri si è raggiunto un accordo sul metodo: che al Pd va bene perché alla Camera il regolamento non consente né “canguri” per saltare emendamenti, né “tagliole” varie, quindi bisognerà vedersela con i grillini: che però al Senato non hanno inondato l’aula di richieste di modifica. E quanto all’obbligo di tenere il referendum in autunno e non insieme alle comunali, nel Pd si valutano i pro e i contro: pur ammettendo che l’Election Day fa risparmiare e porta sempre più gente a votare, costituire i comitati per il sì al referendum contro quelli del no promossi da Sel, con cui in molti Comuni si andrà a braccetto, potrebbe creare non pochi problemi nei territori.