La Stampa 17.10.15
L’Intifada colpisce i luoghi sacri
In fiamme la Tomba di Giuseppe
Centinaia di palestinesi assaltano l’edificio a Nablus. La condanna di Abu Mazen Ancora scontri nei Territori: 4 morti. Hamas: la guerra contro Israele è nel Corano
di Maurizio Molinari
Centinaia di giovani palestinesi incendiano la Tomba di Giuseppe a Nablus nel primo attacco contro un luogo sacro dall’inizio dell’Intifada dei coltelli. L’assalto avviene quando un imprecisato numero di bottiglie Molotov vengono lanciate dentro l’edificio in pietra dove si ritiene sia sepolto il patriarca biblico Giuseppe. A prendere fuoco è la sezione dove pregano le donne ebree durante le visite mensili, condotte sotto scorta militare israeliana, in base agli accordi di pace di Oslo del 1993 conseguenti al trasferimento di Nablus sotto sovranità palestinese. Al momento dell’attacco il luogo sacro - venerato da ebrei, cristiani, musulmani e samaritani - è senza sorveglianza. I danni causati sono ingenti e a verificarli sono le forze palestinesi quando intervengono sparando in aria per allontanare la folla e aprono la strada ai pompieri che domano le fiamme.
I timori e la condanna
Non ci sono rivendicazioni e il presidente palestinese Abu Mazen lo condanna come «atto irresponsabile e illegale che offende la nostra religione e la nostra cultura» assicurando che sarà un’inchiesta ad accertare «i colpevoli». La reazione di Abu Mazen tradisce il timore di Ramallah che gruppi salafiti islamici possano riuscire a dirottare a loro favore le violenze palestinesi. È uno scenario avvalorato dalla scelta di Hamas di rivendicare la guida della rivolta dei coltelli. Mahmoud Al-Zahar, fra i leader più influenti a Gaza, sfrutta la preghiera del venerdì per un sermone in cui afferma: «L’Intifada è iniziata, non sappiamo quando finirà, speriamo sconfigga gli occupanti, la guerra contro di loro è scritta nel Corano, non viene solo da Gaza ma da tutta la Palestina». Dore Gold, direttore generale del ministero degli Esteri di Israele, definisce l’attacco alla Tomba di Giuseppe «un’azione che ci ricorda quelle dei più estremisti gruppi islamici, dall’Afghanistan alla Libia» dove i jihadisti distruggono i luoghi sacri di altre fedi considerandoli «blasfemi». L’esercito di Gerusalemme, con il portavoce Peter Lerner, assicura che «i responsabili di questo atto ignobile saranno portati davanti alla giustizia» e gli israeliani «eseguiranno il restauro» prendendo precauzioni «affinché la sicurezza venga garantita».
Obama: basta violenza
Ciò spiega perché alcuni deputati dei partiti di destra chiedano al premier Benjamin Netanyahu di «rimandare i soldati a proteggere la Tomba di Giuseppe visto che i palestinesi non mantengono gli impegni presi». A rafforzare il ruolo di Hamas arriva l’appello al «Giorno della Rabbia» con la diffusione in anticipo della mappa degli scontri, che poi quasi ovunque si verificano causando la morte di quattro palestinesi e il ferimento di altri 20. I conflitti duri sono a Betlemme, Gaza e Hebron, dove un palestinese armato di coltello si traveste da reporter per colpire un soldato israeliano, ora in gravi condizioni. A New York il Consiglio di Sicurezza Onu discute le violenze e l’ambasciatore palestinese chiede l’invio di una forza Onu sulla Spianata delle moschee per «proteggere i nostri civili» la risposta israeliana è «ci opporremo con tutte le forze». Netanyahu chiede agli Usa una dichiarazione formale per attestare che lo status quo sulla Spinata non è stato modificato «al fine di combattere l’incitamento all’odio». Anche di questo Netanyahu e Kerry parleranno mercoledì a Berlino, in attesa di Abu Mazen. Al quale, come a Netanyahu, è arrivato dalla Casa Bianca ieri l’appello a «fermare le violenze».