sabato 17 ottobre 2015

La Stampa 17.10.15
Il chirurgo arabo: “Nel mio reparto
vittime e carnefici sono solo pazienti”
Ahmed Eid, 65 anni, primario del maggiore ospedale ebraico di Gerusalemme: è solo una questione di volontà
di Maurizio Molinari


Le vite di attentatori e vittime dell’Intifada dei coltelli vengono salvate da un chirurgo arabo primario del maggiore ospedale ebraico di Gerusalemme, che con il suo lavoro sfida pregiudizi e ideologie di ogni matrice. Ahmed Eid, 65 anni, viene dal villaggio arabo-israeliano di Daburiyya, sulle pendici del Monte Tabor in Galilea, ed il Dipartimento di Chirurgia che guida nell’ospedale Hadassah di Mt Scopus è un microcosmo del Medio Oriente.
Nella terapia intensiva c’è Naor, 13 anni, vittima a Pisgat Zeev delle coltellate del coetaneo palestinese Ahmed Manasra. Poco più avanti, fra i feriti in fase di recupero, c’è Yosef, 21 anni, a cui sempre Manasra ha causato tre profonde ferite. In fondo al corridoio c’è un divano nero dove per 48 ore di seguito si è seduto Walid Zreina, fratello della donna palestinese di 31 anni di Gerico che gridando «Allah hu-Akhbar» ha fatto esplodere la bomba che aveva nella propria auto ad un posto di blocco davanti all’insediamento ebraico di Maalein Adumim. La kamikaze palestinese ed il bambino israeliano di Pisgav Zeev sono stati operati nella stessa sala operatoria, dallo stesso team di medici che affiancano Ahmed Eid. Nel suo studio, al terzo piano dell’ospedale, Eid ha le lauree in Medicina e Matematica ottenute all’Università Ebraica di Gerusalemme appese a fianco alle immagini del villaggio arabo della Galilea da cui proviene.
Doppia identità
L’identità araba e quella israeliana si sovrappongono nella sua storia personale e professionale - è stato il primo chirurgo ad effettuare un trapianto di fegato nello Stato ebraico - e si sente a proprio agio all’Hadassah «perché in questo ospedale israeliano il 60 per cento dei pazienti ed il 20 per cento di dottori e infermieri sono arabi».
Basta guardarsi intorno per accorgersene. Ci sono ambulanze della Mezzaluna Rossa e del Magen David Adom fianco a fianco davanti al pronto soccorso, ebrei ortodossi e donne arabe con i rispettivi figli nella sala giochi, pazienti arabi assistiti da dottori ebrei e viceversa. Ilanit Tal, direttrice delle infermiere di chirurgia, vive nell’insediamento ebraico di Maalei Adumim, in Cisgiordania, ed ha un team di 30 persone, cinque delle quali arabe musulmane della Galilea. Due di loro, Ruba di 24 anni e Rabia di 28 anni a causa dell’Intifada dei coltelli le hanno confessato di aver paura di prendere gli autobus e l’Hadassah gli ha trovato un posto dove dormire nei pressi dell’ospedale. «Arabi e israeliani, ebrei, musulmani e cristiani - dice Ahmed Eid - qui siamo tutti accomunati dalla missione di salvare vite, controlliamo le nostre opinioni e cooperiamo per aiutare il prossimo, senza chiederci chi è, cosa ha fatto o chi lo ha ferito». Sono due i fattori che, per Eid, distinguono l’Hadassah. Il primo è geografico: «Si trova assai vicino ai quartieri arabi di Gerusalemme come agli insediamenti ebraici in Cisgiordania e dunque i nostri pazienti vengono dagli estremi opposti del conflitto israelo-palestinese». E il secondo ha a che vedere con una scelta personale: «Chiunque lavora qui ha idee molto diverse sul conflitto ma le esprime in casa, con gli amici, senza farle entrare in ospedale».
L’esperienza
Il risultato è che Ahmed Eid somma esperienza e conoscenza delle ferite riportate tanto dalle vittime che dagli attentatori. Ecco come le descrive: «Una coltellata è molto più seria di quanto appare perché comporta nella vittima grandi perdite di sangue, shock in tutto il corpo e trafigge l’organismo causando danni potenziali in più luoghi», mentre i colpi sparati dagli agenti a distanza ravvicinata «possono uccidere se non si interviene in fretta». Uscendo dal suo studio, si prova la sensazione che esista un Medio Oriente diverso, dove i singoli riescono a dominare gli istinti per far prevalere l’interesse collettivo. «In fin dei conti, è solo una questione di volontà», parola di chirurgo.