La Stampa 16.10.15
E Bruxelles conferma i suoi dubbi su debito e Tasi
di Marco Zatterin
Il primo a parlare della legge di Stabilità fresca di approvazione è Valdis Dombrovskis. «Non è esattamente in linea con il nostro consiglio generale di spostare il peso delle imposte dal lavoro a proprietà, consumi e capitali», ribadisce il vicepresidente della Commissione europea. Non è una novità, l’ex premier lettone lo dice da mesi. L’esecutivo può trattare e cercare di essere «più politico», ma non può rimangiarsi la lira. Così, ora che arriva il progetto di bilancio per il 2016, Dombrovskis precisa che si tratta di «vedere come si riflette nelle nostre analisi». «Non ci sono pregiudizi verso Roma», dicono più fonti. Ma l’esame è previsto e va condotto sino in fondo, come prescrivono le regole.
Il percorso è preciso. I tecnici della direzione Ecfin cominceranno a studiare le carte italiane già stamane. La Commissione ha una settimana per chiedere eventuali modifiche e, in teoria, due per rispedirla al mittente. Il giudizio finale verrà prima dell’Eurogruppo del 23 novembre, alla luce delle nuove previsioni economiche d’autunno attese per il 5 novembre.
Il primo problema è l’intreccio fra deficit e possibili sconti per la flessibilità europea. Il deficit al 2,2% del pil contraddice l’impegno precedente dell’1,8 (si sente dire che il governo pensi di salire al 2,4%). Roma intende coprire la differenza di 0,4 punti con l’euroclausola per gli investimenti (0,3), quindi aumentando dello 0,1 (allo 0,5) la riduzione già concessa da Bruxelles come premio per le riforme. In totale, se approvato, il bonus sarebbe di 0,8 punti. Significa che la manovra è finanziata in deficit per 13 miliardi.
Bruxelles dice che l’ampliamento dello sconto da riforme è «possibile, ma va negoziato». Quello sugli investimento dipende dall’andamento dell’«output gap», cioè della differenza fra crescita potenziale ed effettiva. Se è maggiore di 1,5 punti, si può fare, sempre a patto che il deficit si mantenga sotto il 3% del pil. E che il volume complessivo degli investimenti pubblici convinca la Commissione di aprire il fascicolo.
Roma spera di poter utilizzare anche una eventuale flessibilità da crisi dei rifugiati, magari per 0,2 punti, cioè 3 miliardi. Qui il discorso è delicato. L’Ecofin ha chiesto alla Commissione di valutare la fattibilità dello strumento e l’esecutivo non ha ancora sciolto la riserva. La soluzione probabile è che si decida di considerare l’elemento migratorio come «fattori eccezionali» e scontarlo nel corso della trattativa coi paesi interessati, come l’Italia. Possibile. Ma nuovamente da negoziare.
Dombrovskis ricorda che in tutto questo «conta anche l’analisi più generale in relazione agli squilibri economici e alla situazione economica». Una fonte tecnica attira a proposito l’attenzione su due insidie italiane in materia di finanza pubblica. Roma dovrà convincere Bruxelles che il rinvio al 2018 del pareggio di bilancio (già slittato dal 2016 al 2017) è compatibile con gli orientamenti comuni. Quindi dovrà dimostrare che il debito è in aumento per l’ultima volta. Davvero.