lunedì 12 ottobre 2015

La Stampa 12.10.15
La miccia palestinese pronta ad accendersi
di Stefano Stefanini


Le fortune di Hamas sono legate alla lotta armata contro Israele. Alle Nazioni Unite, in un leggendario discorso di ormai più di mezzo secolo fa, Yasser Arafat aveva esibito la pistola e un ramoscello d’olivo. C’è chi ha raccolto la prima, chi il secondo. Con tempo e fatiche, alla fine Arafat scelse l’olivo.
L’Olp di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) vi è rimasto fedele; anche oggi, in piena paralisi del processo di pace e di scarso zelo negoziale di Gerusalemme, sfida Israele all’Onu, non con le armi.
Hamas ha raccolto la pistola. Ha bisogno di continuare ad usarla. In passato l’ha fatto con i razzi, tanto inefficaci nel colpire il nemico, quanto disastrosi per la popolazione di Gaza nel subire la risposta israeliana. Non sono tuttavia questi scrupoli a trattenere Hamas. Le vittime civili palestinesi sono un disastro umanitario ma una vittoria politica per il Movimento di Resistenza Islamica (non diversamente da quelle di Kunduz per i talebani). Semmai è la difesa anti-missilistica israeliana a rendere fatua la minaccia dal cielo. Meglio cercare altre vulnerabilità di Israele.
Se Hamas riesce ad accendere la scintilla di una rivolta araba in Cisgiordania, mette alle corde Israele e, nello stesso tempo, mina l’Autorità Palestinese. Una terza Intifada, innescata e guidata da Hamas, sul filo dei social media, farebbe apparire Abu Mazen come un leader spento e la diplomazia Onu come un processo che ha fatto il suo tempo. Intorno a Palestina e Israele è tempo di missili e di auto-bomba, non di negoziati di pace. Hamas non vuole che i palestinesi facciano eccezione.
Il Medio Oriente di oggi rassomiglia a un campo minato. Dalle montagne dell’Afghanistan allo Yemen, dal litorale libico ai santuari di Boko Haram in Nigeria, i conflitti sono diventati la normalità. Per non parlare del più grave, la guerra civile, che infuria in Siria da più di quattro anni, ha tenuto a battesimo lo Stato Islamico, ha trascinato nella spirale l’Iraq e con l’intervento russo a fianco di Assad s’innalza imprevedibilmente. L’unica mina mancante è quella palestinese.
Il caos mediorientale mette i palestinesi in seria difficoltà. Per decenni chi diceva «Medio Oriente» diceva «questione palestinese». Complice la miopia israeliana nell’accantonarla, rimane irrisolta. Adesso scivola ai margini delle preoccupazioni internazionali. Questo il motivo che spinge Abu Mazen all’improvvida, ma almeno pacifica, ricerca del riconoscimento dello Stato Palestinese all’Onu. Per Hamas retrocedere nelle retrovie di un Medio Oriente in preda a guerre e violenza sarebbe una perdita di credibilità sulla piazza palestinese. Il movimento non può permetterselo, specie in un momento in cui, allagando i tunnel fra Sinai e Gaza, la stretta egiziana lo mette con l’acqua alla gola. Hamas deve far qualcosa per rilanciarsi.
La paralisi del processo di pace israelo-palestinese è un latente fattore d’instabilità e di tensioni. Ma dura da anni – purtroppo. Non vi è alcun particolare motivo per una nuova Intifada in questo specifico momento, se non la frustrazione accumulata dei palestinesi. E’ una miccia che chiede solo di essere accesa e Hamas è col cerino pronto. Netanyahu è però anche causa del suo male: se avesse dedicato al negoziato palestinese solo la metà degli sforzi che ha inutilmente speso nel tentativo di fermare l’accordo nucleare con l’Iran, oggi la situazione nei Territori sarebbe meno incendiaria. Negoziare non significa rinunciare ai propri interessi.
Hamas era già riuscito ad aprire una grossa falla nel processo di pace rovesciando l’Autorità Palestinese a Gaza. Israele si era ritirato spontaneamente dalla Striscia facendone un esperimento di coabitazione con la futura Palestina. Hamas l’ha fatto fallire. Scatenando una terza Intifada sta cercando di ripetere la stessa operazione in Cisgiordania: rovesciare o minimizzare Abu Mazen; colpire e provocare Israele.
Al resto dei piromani mediorientali Hamas va così dicendo «Vengo anch’io». Possiamo solo sperare che trovi un Enzo Jannacci a dirgli «No, tu no».