La Stampa 11.10.15
Bombe contro la marcia per la pace
Ankara sprofonda nel caos: 128 morti
I feriti sono 500. Forse due kamikaze in azione. Nel mirino sindacalisti, curdi e attivisti Erdogan: è un atto odioso. Il capo dell’opposizione Demirtas attacca: “Stato assassino”
di Monica Perosino e Carlo Paletti
Sono stati spazzati via da due esplosioni devastanti in una bellissima giornata di sole ad Ankara. Alle 10.04 (le 9.04 in Italia) 128 persone sono state uccise e 516 ferite nel più grave attentato nella storia del Paese. Si stavano radunando vicino alla stazione centrale per partecipare a una marcia per la pace organizzata da sindacati e organizzazioni sociali, tra cui il partito filocurdo Hdp.
I due attacchi, uno a tre secondi di distanza dall’altro, hanno centrato in pieno i punti di raccolta dei manifestanti, dove si stavano distribuendo striscioni e bandiere in vista della marcia che sarebbe dovuta partire da lì a due ore.
Il primo scoppio all’arrivo di un gruppo di esponenti dell’Hdp.
In molti già cantavano, intonavano slogan, scandivano «lavoro-pace-democrazia», sorridevano e si tenevano per mano. Il clima era di festa. Erano arrivati qui ad Ankara per chiedere al governo di fermare i bombardamenti contro le posizioni del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) e di tornare al tavolo dei negoziati di pace.
Il secondo scoppio ha investito in pieno un gruppo di militanti di Halkevleri, Partizan e il Partito Comunista Marxista Leninista, famoso per aver partecipato alla resistenza di Kobane contro l’Isis.
Il prima e il dopo
Pochi secondi, e l’asfalto di fronte alla stazione si tinge di rosso. Le bandiere che prima sventolavano ora vengono usate per tamponare le ferite, quelle più grosse per raccogliere i feriti o coprire i cadaveri. I medici si aggirano tra i corpi urlando «Chi è vivo?». Ogni tanto un braccio si alza da un mucchio inerme.
Attorno alla piazza muta cresce il panico e la confusione. I sopravvissuti sono sotto choc, molti piangono, altri si aggirano senza meta con gli occhi sbarrati. Un ragazzo accucciato a terra urla tutta la sua disperazione, stringe a sé il suo piccolo megafono. Vengono dispersi dalla polizia, che spara colpi di pistola in aria, gas lacrimogeni e getti d’acqua per evitare assembramenti e zittire i manifestanti che gridano «polizia assassina, Stato assassino».
Un passeggero che usciva dalla stazione si è trovato a meno di dieci metri dalla prima bomba. Racconta delle centinaia di feriti, del sangue dappertutto. Si guarda la mano, leggermente ferita dai vetri andati in frantumi. «Non ho mai sentito un’esplosione così forte» racconta, ancora stordito. «Siamo crollati tutti a terra, ho tentato di rialzarmi ma qualcuno mi ha trattenuto, e c’è stata la seconda esplosione. Quando ci siamo rialzati, molti sono rimasti a terra, coperti di sangue. Solo dopo un po’ ho capito che erano le stesse persone che camminavano con me». Con un gruppo di dimostranti di Adana, è fuggito attraverso il museo di arte moderna, perché le strade erano bloccate dalla folla in fuga. «Vedevamo gli ospedali, da lì, ma le ambulanze non arrivavano, sentivamo l’odore del gas e la polizia che sparava proiettili di plastica. Era impossibile attraversare la folla, allora abbiamo caricato i feriti sui bus di passaggio, fermando auto, taxi, quello che passava».
Servizi deviati
Sin dai primi momenti dopo la strage le autorità turche hanno definito l’attacco come «terroristico» e hanno avanzato l’ipotesi che si sia trattato di attentati suicidi messi a punto da kamikaze. Nessuno, per ora, l’ha rivendicato. Ma tutte le piste rimangono aperte, anche quella dell’Isis.
Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha definito l’attacco «un atto odioso contro l’unità e la pace del Paese», anche se ha parlato di «civili all’uscita dalla stazione» senza menzionare la marcia della pace. Il partito filocurdo Hdp ha adombrato la possibilità che siano state forza deviate dello Stato ad aver colpito. Il leader del partito Selahattin Demirtas, ha visitato i feriti all’Ospedale Numune e ha detto: «Siamo di fronte a uno Stato assassino che si è trasformato in una mafia».
Ospedali presi d’assedio
La folla che doveva dimostrare per la pace si è spostata in massa davanti agli ospedali. Aspettavano «le liste», quelle dei morti e quelle dei feriti. Il bilancio delle vittime partito da 20, poi 28 è lentamente salito, ora dopo ora. Sono stati lanciati appelli a donare sangue, contraddetti da fonti ufficiali che ne smentivano la necessità: i donatori hanno ignorato il ministero e continuato ad assieparsi agli ospedali.
In serata manifestazioni a Istanbul, Ankara, Mersin, Adana, Eskisehir e in altre città sono degenerate in scontri con la polizia.