Corriere 11.10.15
Il tassello di un’offensiva più ampia
Obiettivo: colpire il dialogo con i curdi
Tornano in mente i delitti ordinati dall’intelligence. Ma c’è anche una cellula dell’Isis
di Guido Olimpio
WASHINGTON Una strada di Ankara trasformata in mattatoio, immagini che ricordano Bagdad piagata dagli attentatori suicidi. Solo che nella capitale irachena è facile indicare il colpevole: lo Stato Islamico. In quella turca tutto più complicato. C’è chi pensa ad un altro stato, lo «Stato profondo», per indicare la matassa letale di servizi segreti, ambienti nazionalisti e forze oscure che colpisce nei momenti critici. Il 1 novembre si vota, c’è la questione curda, la Siria in fiamme, la Russia è entrata nella partita suscitando i timori turchi. È così dagli anni 80, o forse prima, con le tensioni della guerra fredda saldatisi alla lotta armata di movimenti estremi — di destra e sinistra — pronti a sparare. Un Paese cerniera, spesso indeciso su quale versante stare, esposto alla tempesta, con un esecutivo pronto a soffocare critici e media.
Per questo gli avversari del presidente Erdogan, uomo politico risoluto e con comportamenti da sultano, inseriscono l’attentato in un’offensiva ampia. Prima le bomba a Diyarbakir, poi a Suruc, quindi Ankara. Attacchi che hanno preso di mira i curdi. L’obiettivo — in omaggio alla strategia della tensione — è dividere. Far saltare con gli ordigni qualsiasi possibilità di dialogo, spingere i ribelli del Pkk allo scontro totale. E torna in mente una vicenda dimenticata in fretta: l’agguato a Parigi nel 2013 contro tre donne dirigenti del movimento, assassinate dall’autista. Un delitto ispirato forse dal Mit, l’intelligence turca. Se non dai vertici da una delle molte ali che si muovono sotto la sua sigla. Personaggi non sempre ben delineati, alcuni vicini al potere, altri ai suoi nemici. Figure in grado di reclutare «Lupi grigi», killer a pagamento o anche jihadisti, strumenti perfetti per liquidare e depistare.
La mossa per scatenare l’inferno non ha per ora innescato la risposta automatica: il Pkk, mostrando giudizio, ha ordinato ai suoi di sospendere le operazioni e di usare le armi solo per difendersi. Vedremo se la linea tiene o non sia sconfessata dalle componenti più radicali, magari in omaggio a referenti stranieri.
Il governo, invece, ha rispolverato i soliti fascicoli. Il premier Davutoglu ha indicato lo Stato Islamico, il Pkk e il Dhkp/C, già protagonista di molti episodi di violenza, compreso l’uso di kamikaze nei centri urbani. Gruppo di marxisti irriducibili offuscato però da voci di infiltrazione interna e di contaminazione di agenti esterni (il Mukhabarat siriano).
Quanto ai seguaci del Califfo ritorna il nome del nucleo Dokumacilar, una sessantina di mujaheddin in parte originari della regione di Adiyaman e preparati in un campo d’addestramento oltre confine. Gli osservatori hanno suggerito che l’Isis ha in mente due cose: esercitare pressioni su Erdogan ed impedire — con attentati non rivendicati — un eventuale accordo curdi-Turchia. Quest’ultimo target è stato evocato in uno dei numeri di «Dabiq», la rivista online del movimento. E questo nonostante un rapporto ambiguo. Ankara ha sostenuto i rivali del Califfo, ha bombardato (poco) i jihadisti ma ha anche coltivato rapporti d’affari.
La proliferazione di sigle/piste è inevitabile. E lo è anche l’ipotesi di manovre per far ricadere colpe su altri. Siamo alle porte del Medio Oriente dove ogni cosa è possibile. Anche la più strana.