Il Sole Domenica 11.10.15
Nobel per la chimica
Enzimi che riparano il Dna
di Gilberto Corbellini
Anche quest’anno il premio Nobel per la Chimica è andato a ricerche condotte al crocevia tra chimica, biochimica e genetica molecolare. Sempre più spesso i Nobel per la chimica sono assegnati a biologi molecolari o biochimici, cioè per risultati che potevano essere premiati anche con il Nobel per la Fisiologia e la Medicina. A significare che via via che le conoscenze scientifiche avanzano, le divisioni tra le discipline accademiche, diventano più incerte. Ma più si comprendono i meccanismi molecolari della vita, meglio si capisce perché la biologia non è riducibile alla chimica o alla fisica, pur risultando l’organizzazione della materia vivente, cioè della cellula, completamente determinata dalla chimica delle macromolecole (e questa dalla fisica atomica e subatomica). Mentre il Nobel per la Fisiologia e la Medicina di quest’anno è andato alla scoperta di cure che hanno salvato e salvano milioni di vite umane, quello per la Chimica ha premiato la scoperta di complicate macchine biochimiche che la selezione naturale ha inventato per curare le lesioni che si possono produrre nel Dna, e che se non sono riparate causano gravissime malattie. Questi enzimi servono a correggere alterazioni del Dna che distorcono la struttura elicoidale della macromolecola e ne compromettono la funzione codificante. Si tratta di ricerche che hanno anche ispirato l’invenzione dei più recenti procedimenti biochimici per riscrivere le informazioni nel Dna e quindi creare genomi che contengono informazioni nuove, cioè a fare dell’ingegneria genetica in modi più mirati ed efficienti per curare difetti genetici o per costruire organismi geneticamente modificati di interesse sperimentale o commerciale.
Il Nobel è stato assegnato all’oncologo svedese Tomas Robert Lindhal, che lavora al Cancer Research UK, a Paul L. Modrich, biochimico statunitense che insegna alla Duke University e fa ricerca al Howard Hughes Medical Institute; e ad Aziz Sancar, biochimico e biologo molecolare turco che insegna biochimica alla University of North Carolina at Chapel Hill.Lindhal ha dimostrato che il Dna è intrinsecamente instabile, introducendo l’idea di “decadimento del Dna”. Partendo da un’idea che agli inizi degli anni Settanta non era scontata, ha caratterizzato le alterazioni biochimiche che hanno naturalmente luogo nel Dna – le macromolecole biologiche non sono ottimizzate perché non sono state progettate in modo intelligente ma accroccate dalla selezione naturale – e quindi ha scoperto la prima di una famiglia di proteine che riparano il Dna mediante escissione di basi (Ber, base excision repair). Nel 1974 questo meccanismo era già ben compreso e ricostruito in laboratorio nel suo modo di funzionare sia nei batteri sia nelle cellule di mammiferi. Oggi si stima che esistano circa 100 lesioni del Dna che sono riparate da Ber, e le mutazioni nei geni che codificano per gli enzimi che curano questo tipo di lesioni del Dna, implicate nella suscettibilità a diversi tipi di cancro. Modrich partì da una serie di osservazioni effettuate studiando le ricombinazioni genetiche, da cui risultava che la basi nucleotidi nel Dna potevano talvolta essere disappaiate (mismatch), e mise a punto un sistema sperimentale che consentì di ricostruire e quindi pubblicare nel 1989 il meccanismo biochimico, cioè le proteine coinvolte e la tempistica di intervento, del mismatch repair nei batteri. Nel 2004 descriveva come funziona lo stesso meccanismo nell’uomo. Un difetto nel sistema di riparazione del mal appaiamento, a causa di mutazioni nei geni che codificano per gli enzimi coinvolti, è responsabile della cancerogenesi, in particolare è provato che causa il carcinoma ereditario del colon-retto non poliposico. Sancar ha spiegato le basi molecolari della fotoriattivazione, cioè della prima forma di riparazione del Dna a essere descritta. Si tratta di un fenomeno conosciuto dagli anni Quaranta che consiste nella riattivazione da parte della luce visibile di funzioni che nei batteri sono state danneggiate dall’esposizione a radiazioni ultraviolette.
Renato Dulbecco, Nobel nel 1975, aveva ipotizzato per primo, nel 1950, che la fotoriattivazione fosse una reazione enzimatica. Nel 1958 Stanley Rupert, maestro di Sancar, isolò l’enzima fotoliasi, dimostrando l’esistenza di enzimi che riparano il Dna. Venti anni dopo, Sancar clonava il gene della fotoliasi in Escherichia coli. Nel frattempo, dal 1964, si era visto che esisteva anche un meccanismo di riparazione “al buio”, cioè un aggiustamento del Dna mediante escissione dei dimeri di timina creati dalle radiazioni ultraviolette. Iniziò un’estesa ricerca di batteri mutanti per il sistema di riparazione per escissione di nucleotidi (Ner, nucleotide excission repair), nei quali cioè tale meccanismo non funzionava. Ma i processi biochimici che effettuano l’escissione e riparano le lesioni furono descritti da Sancar grazie all’invenzione di una elegante tecnica che consentiva di isolare le proteine che costituiscono il macchinario. Il meccanismo di riparazione è simile nei batteri e nelle cellule dei mammiferi, anche se le proteine sono diverse e quelle che lavorano nelle cellule umane sono 15, contro le tre usate in Escherichia coli. Le mutazioni che colpiscono i geni per le proteine di Ner causano gravissime e devastanti malattie, come lo xeroderma pigmentoso e varie forme di cancro.
I Nobel assegnati per la scoperta dei meccanismi di riparazione del Dna premiano il valore conoscitivo dei risultati e l’invenzione di metodologie geniali che, fra diverse altre cose, confermano che il macchinario biochimico che fa e disfa incessantemente, noi così come una cellula batterica, è del tutto funzionale alla logica darwiniana dell’evoluzione.