domenica 11 ottobre 2015

Il Sole Domenica 11.10.15
Lettera da Vienna
Alla ricerca dei treni della vita
Nel solo settembre sono giunti in Austria quasi 200mila disperati, la loro destinazione finale è la Germania. Ma intanto la capitale è spaccata tra gare di solidarietà e spinte xenofobe
di Flavia Foradini


«Il treno è pieno. Non sale più nessuno», dice una guardia che sbarra il piccolo passaggio lasciato libero fra le transenne che alla Stazione Ovest di Vienna chiudono il binario 1. «Ma ho un gruppo di famiglie con bambini piccoli», protesta una giovane volontaria: «Sono appena arrivati, e non abbiamo più posto per farli dormire».
Oltre le transenne, la banchina è ormai vuota, ma il treno ancora non parte. Polizia e personale delle ferrovie austriache controllano minuziosamente i vagoni con i quasi 500 migranti. La destinazione del treno è Linz. Chiedo alla guardia perché non Salisburgo, visto che sono tutti diretti in Germania: «Perché a Linz ci sono ancora ricoveri per la notte, a Salisburgo invece non c’è più un buco libero».
Nel solo settembre, sono entrati in Austria dalle rotte balcaniche quasi 200mila disperati e la maggior parte vuole andare verso il Nord Europa.
Però i sette o anche otto treni speciali al giorno delle ultime settimane, dalle stazioni di Vienna, non sono più un provvedimento automaticamente accettato dai tedeschi, tanto che nelle autorità austriache è sempre più vivo il timore che la Germania sigilli i suoi confini. Dall’inizio di ottobre il numero dei convogli viene infatti deciso “ogni paio di giorni”, perché il flusso fluttua senza preavviso, ma soprattutto perché il confine tra Salisburgo e la Baviera è diventato un collo di bottiglia nel quale i doganieri tedeschi identificano e lasciano passare soltanto un pugno di profughi all’ora. Così nella zona di Freilassing si ammassano centinaia di migranti in attesa, ed è lo stesso a Salisburgo e, all’indietro, a Linz, a Vienna e, verso sud, a Graz: «Anche se da est continuano ad arrivare nuovi profughi, sarebbe da irresponsabili farli semplicemente partire, se a ovest non riescono a riceverli», ci dice ancora il poliziotto.
La piccola folla di famiglie rimasta a terra - facce stravolte, scarpe e zaini infangati, lo sguardo allarmato, tanti bambini piccolissimi - viene accompagnata al piano 3 dell’autosilo della Stazione Ovest, trasformato da qualche settimana in un centro di accoglienza diurno. Il suo enorme spazio chiuso è stato suddiviso in aeree: per cambiarsi abiti, dormire, mangiare, giocare. Ovunque c’è il wifi, e c’è anche una fila di computer collegati al web.
Internet gioca un ruolo fondamentale in questa migrazione del terzo millennio: non soltanto per i profughi, ma anche per l’organizzazione logistica. A Vienna, dove i pernottamenti di migranti hanno toccato picchi anche di oltre 6.600 al giorno, una piattaforma municipale raccoglie le richieste di tutte le organizzazioni che partecipano all’accoglienza e informa in tempo reale su cosa esattamente è necessario nei vari centri. Con pochi clic su un questionario minimo, è possibile anche offrirsi volontari, magari solo per un paio d’ore: «C’è una grande disponibilità nel donare beni di prima necessità, soldi, e tempo» ci dice il coordinatore della Caritas che gestisce un centinaio di volontari al giorno nella sola Stazione Ovest, cui si aggiungono classi di liceali, che a turno danno una mano.
Questa nuova, virtuosa gara di solidarietà della società civile getta ombra sull’altra faccia della medaglia, che pure c’è. L’11 ottobre a Vienna si rinnovano giunta e sindaco, e la campagna elettorale ha avuto un solo tema - l’immigrazione -, cavalcato da una destra xenofoba che già nelle regionali in Alta Austria, il 27 settembre, ha raddoppiato i propri voti.
Nonostante una disoccupazione contenuta secondo Eurostat al 5,8%, dall’incessante flusso di migranti gli austriaci temono ripercussioni sul mercato del lavoro, e anche sugli alloggi popolari o sull’accesso agli asili nido.
Negli ultimi anni, il Rapporto Mercer ha assegnato per sei volte alla capitale austriaca il primo posto al mondo per qualità di vita e l’«Economist» il secondo, ad un soffio da Melbourne. Ma in tempi di recessione mondiale, serpeggia preoccupazione nei viennesi chiamati alle urne, anche per via della copiosità di mezzi ed energie che il governo sta ora elargendo ai flussi di migranti. Un fatto questo, che in realtà data solo da qualche settimana: ci sono voluti 71 migranti morti in piedi dentro un camion, ritrovato sull’autostrada tra il confine ungherese e Vienna, a dare uno scossone alla volontà di accogliere questi profughi così diversi per cultura, mentalità, religione. Lo schock ha risvegliato le coscienze austro-tedesche, e all’improvviso la macchina dell’accoglienza ha cominciato a funzionare, benché solo quella dei migranti in transito. Per i richiedenti asilo, infatti, lo scaricabarile tra Länder e Comuni è continuato fino al varo in tutta fretta di una legge costituzionale, che dal primo di ottobre dà pieni poteri allo Stato federale di smistare l’accoglienza anche al migliaio di Comuni che ad oggi si sono rifiutati di farsi carico di un numero di richiedenti asilo pari all’1,5% della popolazione.
Finora solo il Land di Vienna sta facendo tutta la sua parte. Da altri Länder sono volate invece parole grosse conto il governo, accusato di esautorarli, costringendoli all’insediamento di stranieri.
Così non stupisce che il leader dell’estrema destra, Heinz Christian Strache, faccia il pieno di simpatie e voti parlando alla pancia, al borsellino e ad una presunta identità culturale della nazione, da difendere a spada tratta, benché un viennese su due abbia uno sfondo migratorio e dal 1945 siano passati due milioni di profughi in Austria, di cui 700mila poi rimasti: nel ’56 sono arrivati gli ungheresi, nel ’68 i cecoslovacchi, negli anni ’80 i polacchi e, all’inizio degli anni ’90, nella sola capitale austriaca sono giunti 110mila profughi dalla Jugoslavia nel giro di pochi mesi, la maggior parte dei quali ha messo radici senza che nessuno gridasse all’invasione.
Così ora il coordinatore per i rifugiati, Christian Konrad, cerca di rassicurare l’elettorato: «I 54mila che quest’anno hanno finora chiesto asilo in Austria non riempiono nemmeno uno stadio. Non sono certo un problema».
Assai più difficile è contrastare i veleni orwellianamente sparsi da Strache, quando si dice in ansia per il pericolo che i migranti islamici infiltrino in Austria un rinnovato antisemitismo: «Abbiamo una responsabilità particolare, affinché gli ebrei non debbano mai più tornare a temere attacchi».