Il Sole 27.10.15
Un continente sull’orlo di una crisi di nervi. Dopo i risultati
Così barcolla l’ordine dell’Europa unita
di Adriana Cerretelli
Altro che Grecia. Ora bomba rifugiati e generale caos europeo, Polonia au rebours nel nazionalismo più oscurantista, Portogallo in bilico tra instabilità politica post-elettorale e ribellismo anti-rigore, Angela Merkel sotto processo in Germania: tutto e tutto insieme. Europa in piena crisi di nervi.
Guardando indietro, agli ultimi cinque anni che ha trascorso risucchiata nel gorgo dell’emergenza ellenica senza mai rialzare la testa né provare ad allungare lo sguardo anche intorno, alle molte altre crisi che si accumulavano dentro e fuori casa e andavano affrontate almeno con lo stesso senso di urgenza, viene da chiedersi il perché di tanta ossessione monomaniacale e di altrettanta miopia politica di contorno: quasi che l’Europa fosse incapace di fare due cose insieme, come il presidente americano Gerald Ford, di cui si diceva che non riuscisse a «scendere dalla scaletta di un aereo masticando un chewing-gum».
Tre salvataggi finanziari e la doppia elezione di un Governo di estrema sinistra e anti-establishment guidato da Alexis Tzipras sono stati il risultato dell’approccio europeo: che non ha risolto il problema greco ma l’ha solo messo in stand-by.
Troppo concentrata a tentare di contenere il fuoco nel disastrato focolare di Atene, l’Europa non ha visto l’incendio che si preparava a mandarle in fiamme la casa: tra catastrofe umanitaria creata da centinaia di migliaia di rifugiati, in fuga dalle guerre in Siria, Irak, Afghanistan, Libia, che si accalcano alle sue frontiere, la questione ucraina e l’equazione russa che scuotono troppe certezze politico-strategiche seminando destabilizzazioni prima di tutto psicologiche soprattutto a Est, la crisi di identità della Nato che si intreccia a un legame transatlantico stressato, sempre più problematico.
E, infine, i contraccolpi inevitabili che il poliedro delle crisi avrebbe prima o poi scaricato sulle sue democrazie, sulla tenuta di partiti tradizionali e classi dirigenti, sul consenso delle pubbliche opinioni a un’Europa ormai ridotta, nella percezione collettiva di molti, a un riformatorio permanente che non distribuisce più benessere, lavoro e sicurezze, che siano sociali, culturali o addirittura personali di fronte non solo alle minacce deliranti del terrorismo dell’Isis & Co. ma anche e soprattutto alla gestione più che inadeguata dei rifugiati da parte dei Governi in carica.
Ormai da risolvere non c’è più solo la matematica dei conti pubblici e delle riforme strutturali da fare per tenere il passo con la globalizzazione. C’è il puzzle inedito della stabilità politica che traballa insieme alle fondamenta stesse dei sistemi democratici messe a dura prova sia dal declino inevitabile di modelli di società che da identitari si avviano a diventare sempre più multi-etnici, sia da spinte nazionaliste, populiste, protezioniste e anti-europee ovunque alimentate dalla paura. L’impatto con le crisi multiple sta erodendo un ordine europeo, sempre più fragile e incerto.
Domenica le elezioni in Polonia hanno visto stravincere, con la maggioranza assoluta, la destra conservatrice, anti-europea, anti-tedesca, anti-russa e anti-immigrati dell’ex-premier Jaroslaw Kaczinski, e affondare il partito di Governo che pure è stato l’autore del miracolo economico del paese, l’unico passato indenne dalla crisi del 2008, che cresce al ritmo del 4%. Motivo? Benessere con troppe ineguaglianze, revanscismo nazionalista, voglia di ri-statalizzare e ri-polonizzare un’economia aperta agli investimenti esteri e privati. E niente adesione all’euro, naturalmente.
Contrordine in Portogallo, l’allievo modello dell’eurozona, l’anti-Grecia da ostentare come esempio del rigore che fa bene a chi li fa: a scoppio ritardato è smentito il risultato delle elezioni che avevano tributato nelle urne la vittoria al centro-destra, cioè al Governo dei sacrifici. In parlamento è l’alleanza dei socialisti con comunisti e l’estrema sinistra alla Syriza e/o Podemos, in breve il fronte anti-austerità, a controllare la maggioranza. Ma il presidente della Repubblica, centro-destra, rifiuta la svolta: «In 40 anni di democrazia mai la vita dei governi portoghesi è dipesa da forze politiche anti-europee». Come reagirà il paese e il suo sentimento europeo?
Mentre tenta disperatamente, perché sa di rischiare la poltrona, di arginare la marea dei profughi siriani cui peraltro aveva promesso accoglienza illimitata in Germania, Angela Merkel appare la tragica incarnazione dell’impotenza di un’Europa impaurita, disorganizzata ma soprattutto divisa. L’irrituale mini-vertice tra tutti i paesi della rotta dei Balcani e quelli Ue preferiti dai flussi domenica ha preso misure per evitare il degrado delle tensioni e l’erezione di muri e reticolati dentro l’Unione e ai suoi confini. Funzioneranno? Dei 160.000 rifugiati da ripartire nell’Ue per quote obbligatorie finora ne sono stati accasati 854.
Quando esonda, l’egemonia tedesca crea quasi sempre reazioni urticanti. Ma quando, come oggi, vacilla insieme alla leadership della Merkel promette di fare danni anche peggiori travolgendo con le sue debolezze un castello europeo già pericolante sotto il peso di troppi assalti.