martedì 27 ottobre 2015

il manifesto 27.10.15
Riforme, la corsa dei referendum
Trivelle, Costituzione e Italicum, in un anno potrebbero tenersi tre diverse consultazioni popolari
In settimana parte il comitato del No. E contro il rischio di elezioni anticipate c'è la carta dei ricorsi in tribunale sulla legge elettorale
di Andrea Fabozzi


ROMA A meno di imprevisti ostacoli nei prossimi passaggi in Cassazione (entro novembre) e alla Corte costituzionale (a gennaio), saranno i referendum promossi dalle regioni contro le trivelle a inaugurare una lunga stagione referendaria nella primavera 2016, in una domenica tra metà aprile e metà giugno (difficilmente la stessa delle elezioni amministrative perché il governo non ha interesse a facilitare la caccia al quorum), cinque anni dopo gli ultimi quesiti, sull’acqua pubblica.
Una quasi certezza è il referendum confermativo della riforma costituzionale, che tra febbraio e aprile dovrà essere votata in seconda lettura e a maggioranza assoluta prima dal senato e poi dalla camera (è ancora in fase di esaurimento la prima lettura, sarà una formalità). Poi la Cassazione aspetterà fino alla fine di luglio le richieste di referendum che arriveranno senz’altro dai parlamentari, ma potrebbero arrivare anche da 500mila elettori. Se i renziani presenteranno loro stessi la richiesta (bastano 65 senatori o 126 deputati) — in linea con la retorica del premier «il referendum lo chiediamo noi» — la Cassazione aspetterà ugualmente tre mesi per permettere ad altri soggetti (cittadini o regioni) di costituirsi come soggetto riconosciuto nella campagna elettorale. Dopodiché scatteranno altri tempi tecnici previsti dalla legge 352 del 1970, per cui anche velocizzando al massimo (per esempio convocando il consiglio dei ministri durante le ferie per il necessario decreto) il referendum confermativo si potrà tenere al più presto a fine ottobre. Al più tardi a dicembre. Giovedì prossimo il Coordinamento per la democrazia costituzionale — giuristi e politici riunitisi otto mesi fa, e c’erano anche parlamentari della sinistra Pd che poi hanno votato il disegno di legge di riforma costituzionale — presenterà il comitato per il No. Si preparano con largo anticipo alla campagna, cominciando con un documento che riprende le tesi presentate dai costituzionalisti Carlassare, Rodotà, Villone, Ferrara, Azzariti e Pace dieci giorni fa sul manifesto.
Lo stesso Comitato raccoglierà le firme per sottoporre a referendum abrogativo la nuova legge elettorale 52/2015, l’«Italicum». Due i quesiti, già depositati in Cassazione (ma la raccolta delle firme scatterà in primavera e l’eventuale referendum si terrebbe tra aprile e giugno del 2017). Uno dei due propone l’abrogazione dei capilista a voto bloccato, è identico a quello sul quale l’associazione Possibile di Civati ha provato invano a raccogliere le firme in estate. L’altro quesito punta a cancellare il premio di maggioranza e il ballottaggio, virando l’Italicum verso una legge proporzionale con sbarramento basso. È nuovo, anzi è una della ragioni per cui Coordinamento e Possibile hanno marciato divisi. Questi due referendum elettorali (eventualmente insieme ad altri di cui si discute in questi giorni, sulla «buona scuola» o il jobs act, anche questi già tentati da Possibile) potranno tenersi solo se nel 2017 non ci saranno elezioni anticipate. In quel caso resterebbero congelati e si ripeterebbe il caso di un’elezione politica con una legge che rischia di essere cancellata a parlamento già eletto.
Se la legge costituzionale sarà approvata definitivamente con il referendum a fine 2016, ci sarà un’altra possibilità per mettere in questione l’Italicum. Molto velocemente, in non più di quaranta giorni, quindi prima di eventuali elezioni anticipate nel 2017. Lo permette il meccanismo introdotto dalla riforma Renzi-Boschi con la norma transitoria che consente alla minoranza di interrogare la Consulta sulle leggi elettorali. Il Comitato del No, però, comprensibilmente, non può puntare tutto sull’approvazione di una riforma che avversa, e così ha messo in campo una serie di ricorsi ai tribunali civili di tutti i capoluoghi nel tentativo di replicare lo schema che ha portato alla fine della vecchia legge elettorale. L’autore è lo stesso che ha partecipato all’abbattimento del «Porcellum», Felice Besostri, e gli argomenti riprendono le motivazioni della Consulta nella famosa prima sentenza del 2014. Ai tribunali si chiederà di riconoscere il diritto dei cittadini al voto «personale, uguale e libero», messo in forse dall’irragionevole premio di maggioranza, dal ballottaggio e dai capilista bloccati. L’Italicum — clausola strappata da Berlusconi — non è applicabile fino a luglio 2016, dunque non è percorribile la strada del ricorso d’urgenza (non c’è un pericolo «imminente»). Besostri tenterà con il «procedimento sommario di cognizione» . Punto a favore: proprio il precedente del Porcellum ha reso praticabile l’approdo delle leggi elettorali alla Consulta. Punto a sfavore: i tempi della giustizia. Allora dall’iniziativa in tribunale alla sentenza della Consulta passarono quasi cinque anni.