Il Fatto 2.10.15
Il profugo industriale di riserva Merkel e Marx
di Marco Palombi
La solidarietà è una bella cosa. Accogliere in casa propria – e con gioia – persone a cui (letteralmente o metaforicamente) sta bruciando la casa è un dovere morale. La politica è tutto quel che accade prima e dopo: che un governo, ad esempio, si giochi il suo adeguarsi a una necessità per rilanciare la sua immagine è quasi ovvio. Parliamo della Germania, dove Angela Merkel ha accettato l’inevitabile afflusso di profughi mediorientali – zona, peraltro, non solo incasinata di suo, ma anche dai giochetti geopolitici Usa, Ue, Russia – ora i partiti “populisti” crescono nei sondaggi e la Cdu-Csu si mette l’aureola.
L’accoglienza, l’integrazione, per carità. Poi capita che la Frankfurter Allgemeine Zeitung dia conto di un documento sull’emergenza profughi stilato dal Consiglio economico del partito della Merkel: “Per evitare aumenti della disoccupazione, accanto a una vasta offerta di corsi di lingua e formazione, bisognerebbe abbassare il livello dei salari iniziali: è necessaria l’introduzione di una deroga al salario minimo e, all’interno del contratto collettivo, le parti sociali dovranno accordare un più basso stipendio d’ingresso ai profughi”. In un paese basato sulla deflazione salariale, pure le case che bruciano in Siria o Libia diventano un’opportunità. Un tedesco con la barba parlava di “esercito industriale di riserva”: quello buono per tagliare gli stipendi pure alla prima linea. È “l’effetto farfalla”: un bombardamento di Sarkozy a Tripoli può causare un terremoto in una busta paga dall’altra parte del mare.