venerdì 2 ottobre 2015

La Stampa 2.10.15
Germania 2015, l’egemonia vulnerabile
A 25 anni dalla riunificazione, si fanno i conti con le sue conseguenze a lungo termine. Di fronte alla crisi ucraina e all’attivismo di Putin in Siria, la “potenza di centro” scopre i suoi limiti politico-strategici
di Gian Enrico Rusconi


«La Germania ha guadagnato la sua unità nazionale, la Russia ha perso l’Ucraina». Con questa battuta lo storico Michael Stürmer mette a fuoco un nesso tra due eventi a prima vista inconfrontabili. È vero che l’indipendenza dell’Ucraina risale al 24 agosto 1991, nel clima euforico del senso di liberazione collegato alla «rivoluzione democratica» tedesca del 1989-90. Ma affermare che la Russia «ha perso» allora l’Ucraina è un modo provocatorio di definire la natura del conflitto in atto oggi tra Kiev e Mosca. Eppure Vladimir Putin, parlando retrospettivamente del tracollo del sistema comunista, che ha accompagnato la congiuntura del 1990, lo definisce «la più grave catastrofe geopolitica del XX secolo».
Il rapporto con Mosca
Quale rapporto c’è tra la riuscita riunificazione tedesca e l’odierna crisi russo-ucraina? Che senso ha lo sforzo della Germania di contenere gli effetti più distruttivi del conflitto? La Germania sta davvero raggiungendo i suoi obiettivi?
Ripercorriamo alcuni passaggi del 1990, tenendo conto della relazione speciale tra Bonn-Berlino e Mosca. Ricordiamo che Helmut Kohl è stato colto di sorpresa - come tutti i politici europei - dagli eventi del novembre 1989 a Berlino. Ma in poche settimane riesce a controllare la situazione con grande abilità tattica, prendendo in contropiede i leader europei ostili (Thatcher, Mitterrand, Andreotti). Guida con determinazione i tedeschi, sorpresi e incerti nelle loro stesse emozioni, verso la riunificazione. Questo obiettivo tuttavia sarebbe irraggiungibile senza il sostegno fermo degli Usa (Bush senior) da un lato e senza il consenso del presidente sovietico Gorbaciov dall’altro.
La partita di Gorbaciov
Gorbaciov è un personaggio-chiave dell’intera vicenda, ma a suo modo tragico perché mette in atto una strategia che sarà fallimentare rispetto alle sue intenzioni originarie. All’inizio è fermamente ostile verso la riunificazione tedesca, interpretando l’opinione prevalente della classe politica sovietica stordita per quanto sta accadendo, e trovando il facile consenso del francese Mitterrand e dell’inglese Thatcher. Ma poi intuisce che la partita va giocata con gli Usa e direttamente con la Germania. Con un brusco cambio di atteggiamento, pensa di poter utilizzare la riunificazione tedesca, la sua definitiva e completa «occidentalizzazione» e il processo di democratizzazione dell’Europa orientale per dare impulso alla riforma del sistema sovietico nell’aspettativa che possa rimanere socialista. Nella «Casa comune europea» ci deve essere posto per tutti. Non sospetta che questa suggestiva utopia contribuirà al tracollo irreversibile del sistema comunista.
Da parte sua Helmut Kohl è sinceramente convinto di contribuire alla politica di rinnovamento e stabilizzazione di Gorbaciov. Decisivo a questo proposito è l’incontro faccia a faccia tra i due leader nel Caucaso nel luglio 1990, con gli accordi finanziari bilaterali ivi sottoscritti. La Germania mette in campo la sua forza economica e negoziale e la forza delle sue alleanze per ricreare una nuova relazione con l’Urss.
Ma il punto critico dell’intera vicenda rimane l’allargamento della Nato verso Est. La Germania riesce a spuntare con il consenso di Gorbaciov che la Nato arrivi sino ai confini della ex Ddr. Sull’espansione oltre quei confini decideranno di fatto gli americani. Le voci (anche tedesche) che invitano alla prudenza vengono zittite dietro l’euforia e la retorica della libertà. Si crea l’equivoco della necessaria coincidenza tra Ue e Nato. Negli anni successivi - con il sistema post-sovietico nel caos - l’allargamento della Nato ai Paesi dell’Est europeo procederà quasi automaticamente insieme con l’appartenenza all’Ue.
Vittoria dell’Occidente?
Nessuno si chiede quale collocazione avrebbe avuto l’ex Unione Sovietica nella nuova architettura della sicurezza europea e delle aree di influenza. Prevale l’erronea semplicistica convinzione della «vittoria dell’Occidente», sino all’infelice tesi di Obama che declassa la Russia a «potenza regionale», senza capire l’estrema rilevanza storica e strategica di questa grande e complessa regione. L’ignoranza della storia è fatale nella politica americana.
La mediazione mancata
Da parte sua la Germania si concentra esclusivamente sull’espansione della sua egemonia economica - ben accetta per la verità alle controparti orientali. La crisi rimane latente sino all’esplosione brutale dei conflitti interni dell’Ucraina, che è diventata il nuovo confine esterno dell’Europa-Occidente. In realtà il confine passa dentro le teste e il cuore degli ucraini che si dividono ferocemente. La Russia di Putin si sente circondata (a torto o a ragione) da paesi ostili e quindi si propone di recuperare e rafforzare il suo spazio geopolitico. Soprattutto si sente tradita dall’Ucraina che «vuol passare con l’Occidente». I paesi un tempo appartenenti all’area di influenza sovietica (in particolare Polonia e paesi Baltici) vedono in tutto questo un ritorno autoritario della Russia: molti parlano di «risovietizzazione» e/o ricomparsa della Guerra fredda.
La Germania si è trovata impreparata dinanzi a questa crisi. Avrebbe voluto e vorrebbe tuttora mantenere buoni rapporti (innanzitutto economici) con entrambi gli Stati . Ma l’«egemonia» che ha accumulato in questi anni in Occidente, dove la cancelliera Angela Merkel ha raggiunto un prestigio senza precedenti, si rivela insufficiente a farne la grande mediatrice come forse qualcuno sperava. «L’egemonia responsabile della potenza di centro», di cui da qualche tempo parlano alcuni politologi tedeschi, si rivela illusoria, perché vulnerabile.
I nodi irrisolti
Certo, la Germania si è impegnata seriamente nel cosiddetto Quartetto Normandia (Germania, Francia, Russia e Ucraina) con gli accordi di Minsk per ridurre le violenze militari da entrambi le parti e stipulare intese circa i rifornimenti energetici e la ripresa di scambi economici. Ma i punti politici cruciali - l’adesione-annessione della Crimea alla Russia, lo status di autonomia delle regioni secessioniste, l’entrata della Ucraina nella Nato - rimangono irrisolti. Anzi la politica attiva di Putin in Medio Oriente (Siria) e nel Mediterraneo dà al Cremlino una statura che mette in risalto la marginalità e i limiti politico-strategici della «potenza di centro» Germania.
La Germania del 2015 non è più certamente la nazione a sovranità limitata che era stata sino all’emancipazione del 1990, ma la nuova potenza o egemonia economica che ha conquistato non basta a salvarla dalle sue insufficienze e vulnerabilità politiche.