Corriere 8.10.15
La legge elettorale e quel segnale di Berlusconi a Renzi
di Francesco Verderami
ROMA Come mai Forza Italia corre in soccorso di Renzi al Senato, nel giorno in cui il gruppo del Pd si divide sulla riforma costituzionale? Perché gli azzurri rompono il fronte delle opposizioni, che si apprestavano a scrivere congiuntamente una lettera di protesta al capo dello Stato? Quale ragione ha spinto persino i fedelissimi berlusconiani ad aprire una crepa profonda nei rapporti con la Lega, che ora accusa l’alleato di essere una «stampella» del governo? Un conto è il caos — che continua a regnare nel centrodestra — altra cosa è la manifesta incapacità politica, che andrebbe oltre l’autolesionismo.
Infatti c’è un motivo se Forza Italia per una volta si schiera con la maggioranza. Le ragioni di questa mossa vanno ricercate in una frase pronunciata da Berlusconi, che dopo aver lanciato l’allarme sulla «grave emergenza democratica» in cui verserebbe il Paese, si lascia sfuggire — non proprio casualmente — una previsione sulle sorti dell’Italicum: «Sono abbastanza fiducioso che verrà cambiato». La legge elettorale val bene un voto sulle riforme costituzionali, specie se la modifica del sistema di voto reintroducesse il premio di maggioranza e allontanasse l’incubo della lista unica, che finirebbe per assoggettare sotto Salvini ciò che resta del vecchio impero berlusconiano.
«Il tentativo c’è», dice il capogruppo azzurro Romani, riconoscendo quel che era chiaro da tempo, e cioè che una trattativa per tornare all’Italicum 1.0 è in atto, che quanto Renzi ha fatto capire prima ad Alfano e poi a Verdini è stato raccolto e compreso anche da Berlusconi. E Romani è l’ufficiale di collegamento con la maggioranza per una operazione che sarà pure lunga e complicata ma che in fondo non è mai stata segreta. Così ha un senso l’atteggiamento tenuto in queste settimane dal gruppo forzista al Senato, perché non aveva senso accusare Renzi di voler procedere a ritmi forzati pur di far approvare la riforma, e non fare nulla per ostacolarne il disegno. E ha un senso anche il modo in cui, proprio Romani, continua a rimandare l’annuncio sull’atteggiamento che terrà Forza Italia in Aula nel voto finale.
Questa porta aperta è un segnale che vale più della scelta di votare contro l’emendamento presentato da un pezzo della sinistra sulle procedure per la deliberazione dello stato di guerra. E allora, sarà anche vero ciò che sostiene il capogruppo azzurro, cioè che il voto si è basato su una valutazione costituzionale della proposta e che «non c’è stato tatticismo». Ma è evidente l’attesa di una risposta. E nell’attesa (quasi) tutto il resto è stato «tatticismo», compreso il posizionamento di Forza Italia in questi giorni, la sua adesione al fronte di opposizione con la Lega e persino con i Cinquestelle, che aveva finito per fagocitarla nel gioco d’Aula e l’aveva oscurata mediaticamente.
D’un tratto tutto si fa più chiaro e ognuno torna al proprio posto, anche nella dialettica politica: perché i grillini — e ancor più animosamente i leghisti — accusano i forzisti di esser tornati al «patto del Nazareno» semmai se ne fossero distaccati. È un attacco che farà pur presa nell’opinione pubblica, ma che non risponde più alla realtà delle cose: rispetto al passato, Renzi è in una posizione di forza, può disporre secondo la propria utilità, senza più essere obbligato a concedere.
E il leader del Pd — attorno a cui ruota ormai l’intero sistema politico — sta usando a piacimento il bastone e la carota, con gli alleati di opposizione e con gli alleati di maggioranza. Dopo aver chiuso i conti con la minoranza dem, sembra voler mettere i centristi spalle al muro con la legge sulle unioni civili. Perché se davvero il provvedimento venisse incardinato, sarebbe disatteso il patto stipulato con Alfano — che prevedeva di posticipare la cronaca di una lite annunciata a gennaio — e si appiccherebbe il fuoco nel campo alleato, dove sarebbe inevitabile lo showdown .
Il leader di Ncd aveva messo in conto il «chiarimento» nel suo gruppo dopo l’approvazione della riforma costituzionale, ma la manovra anticipata di Renzi farebbe saltare l’opera di ricomposizione della spaccatura interna con il coordinatore del partito Quagliariello. A meno che non abbia buon fine la mediazione subito avviata dal capogruppo centrista Schifani con il ministro Boschi nell’Aula di palazzo Madama, tra un voto e l’altro sulle riforme e una serie di telefonate con Renzi. Si vedrà se il nuovo testo sulle unioni civili (appena presentato) verrà ancora una volta sostituito, o se il suo incardinamento sarà ancora una volta posticipato.
In caso contrario, i centristi potrebbero votare contro le riforme o issare le barricate sulla legge di Stabilità per «vendicarsi»? Impossibile. E comunque i voti al Senato per un provvedimento di iniziativa parlamentare — dunque formalmente non del governo — sarebbero garantiti da Verdini: «Le unioni civili? Le voterei subito»...